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REVENTINUM | Il clan braccato e l'avvocato «sotto scopa»

I dialoghi (intercettati) tra gli indagati fermati nell’operazione contro i clan del Reventino. «L’ha detto Gratteri! Siamo proprio nella merda». La strumentazione per scoprire le microspie e la pr…

Pubblicato il: 11/01/2019 – 14:08
REVENTINUM | Il clan braccato e l'avvocato «sotto scopa»

LAMEZIA TERME «L’ha detto Gratteri». A marzo scorso all’interno del gruppo degli Scalise – che insieme ai Mezzatesta contendevano il comprensorio montano del Reventino – c’è la reale e concreta paura di esser sotto la lente delle forze dell’ordine. Il sospetto è che gli investigatori della Procura di Catanzaro, guidata da Nicola Gratteri, siano molto vicini a loro. E, in effetti, i carabinieri sono vicinissimi, tanto da registrare dialoghi, paure, sospetti. Il 4 marzo 2018 vi è un cenacolo tra Luciano Scalise, Andrea Scalzo e Salvatore Mingoia, tutti arrestati giovedì insieme ad altre 9 persone (qui altri dettagli sull’inchiesta), con l’accusa di associazione mafiosa, nel corso dell’operazione “Reventinum”. Il giorno prima, 3 marzo, era stata notificata in carcere a Marco Gallo un’ordinanza di custodia cautelare per l’omicidio dell’avvocato Pagliuso. C’era stata una conferenza stampa, erano venuti fuori i dissapori con la cosca Scalise, le minacce ricevute. Il monte Reventino e i suoi affari ancora oscuri erano assurti alla ribalta della cronaca, illuminati a giorno.
Mingoia è il più preoccupato: «È pieno di microspie», «siamo nella merda! Siamo proprio nella merda!», continua a ripetere. «L’ha detto Gratteri!», gli fa eco Scalzo. Mingoia cerca di sdrammatizzare: «Non trovano niente… qua io gliel’ho detto, io… non è che dobbiamo parlare con qualcuno? niente… però se tu lo vedi così!». «Eh che bordello… è un bordello», risponde Scalzo.
I tre indagati avevo seguito la conferenza stampa sull’arresto di Gallo. Si preoccupano dei nomi e cognomi fatti in videoconferenza, pensano di denunciare, poi ci ripensano, che tanto «sono solo parole». La preoccupazione però c’è: «Affondiamo tutti!», «un bordello… un bordello… Gesù Cristo… Vabbé ma ancora sono parole! ancora niente!». Ancora si sentono al sicuro, protetti come sono sempre stati protetti i segreti della montagna: «Non è che… eh, devono trovare, devono trovare le cose!». «Che devono trovare che non c’è niente?». Sanno che ormai è una sfida: «Da trovare non c’è niente, lo stanno facendo proprio perché lo vogliono provocare… ».
Raccontano di avere speso 800 euro per una strumentazione in grado di rilevare eventuali microspie. Strumentazione che a gennaio 2018 i carabinieri di Soveria avevano trovato in possesso di Scalise. È quest’ultimo a raccontare di avere trovato a casa sua, «da me», delle microspie che aveva poi fatto distruggere.
L’AVVOCATO SOTTO SCOPA La notizia dell’arresto di Marco Gallo tiene banco per parecchio tempo, anche tra i Mezzatesta. Il 15 marzo Ionela Tutuianu, compagna di Domenico, a capo della presunta cosca Mezzatesta, e Giovanni Mezzatesta, nipote di Domenico, parlano degli Scalise che Ionela non esita a definire «clan».
«Noo questo no zia Ionè, qui c’è Gratteri, questo non è che scherza Gratteri, Gratteri è un magistrato serio», dice Giovanni Mezatesta. «Ho capito – gli fa eco Tutuianu –, non parlo di magistrati, parlo sto Scalise, di Luciano», che Ionela teme possa «uscire pulito» da tutta la storia. «Noo qua ti sto dicendo che c’è un magistrato serio, questo questo, con questo non si scherza…questo se l’arresta, dentro buttano la chiave zia Ionè…esce pulito, a questo buttano la chiave…», afferma il nipote.
La discussione poi viene dirottata su un avvocato che i Mezzatesta sono convinti che «si prendono pure quella merda dell’avvocato suo». Un avvocato che avrebbe affermato che se «usciva fuori chi aveva ammazzato l’avvocato Pagliuso lasciava la causa eee invece hai visto che non l’ha potuto lasciare?». Eh no perché lui, ma lo sai perché non l’ha potuta lasciare? «Perché lui è sotto scopa, perché lui è sotto scopa… agli sciacalli (gli Scalise, ndr)». «E no perché la mattina il caffè se lo prendeva a Lamezia con quello “sbirro”…». «Non solo, non solo mo è sotto scopa con gli Sciacalli eee il compare, il compare». «Ma lui ora se la “caca” (ha paura, ndr) lui ora volendo non li può lasciare». «Non li può lasciare perché, eh brava mo è sotto scopa degli sciacalli zia Ionè…».
PERICOLO DI FUGA Che si sentissero braccati, gli uomini del clan Scalise lo avevano espresso più volte. Tanto da avere cominciato a prendere informazioni. Il 13 marzo 2018 Angelo Rotella e Luciano Scalise, scrivono nel fermo il procuratore Garatteri e il sostituto Elio Romano, «palesavano la conoscenza di una lista di indagati al vaglio della Procura della Repubblica di Catanzaro». «Mi ha detto: “La Procura, il pubblico ministero, gli ha dato una lista di persone che c’entrano in questa operazione”», dice Rotella a Scalise. L’informatore avrebbe detto a Rotella « “Ci siamo” ha detto “cinque persone!”. Lui, tu, terzo io, quarto Andrea, quinto Cesare… e Giovannino Iannazzo! A Lamezia, pure a Lamezia! Comunque, Iannazzo ce l’hanno caricato nella lista con noi! (in realtà Giovannino Iannazzo non è stato raggiunto da provvedimento cautelare, così come Cesare, ndr)».
Dalle indagini inoltre emerge che Salvatore Domenico Mingoia «si palesava in ripetuti spostamenti al nord Italia, poiché timoroso di poter essere coinvolto in operazioni di polizia riguardanti la cosca di appartenenza degli Scalise». E inoltre, scrivono gli inquirenti, «emerge chiaramente lo spessore criminale di Pino Scalise e al contempo il ruolo mafioso rivestito dallo stesso, nonché la capacità di intimidazione, non solo nel “territorio di sua competenza” – inteso in senso restrittivo la zona montana del Reventino – ma anche in territori limitrofi come quello di Maida».

Alessia Truzzolillo
a.truzzolillo@corrierecal.it

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