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Vent’anni senza Faber, il ricordo al Teatro comunale di Catanzaro

Llo spettacolo prodotto da Edizione Straordinaria/Compagnia del Teatro di Mu. I testi del cantautore riprodotti da Salvatore Emilio Corea e Marcello Barillà

Pubblicato il: 13/01/2019 – 11:21
Vent’anni senza Faber, il ricordo al Teatro comunale di Catanzaro

CATANZARO Le note si rincorrono, come i giorni perduti dietro al vento di “Amore che vieni, amore che vai”. Il palco del Cine Teatro Comunale di Catanzaro a momenti sembra un allegro e fumoso salotto dove si scandiscono i sabato sera tra amici a suon di schitarrate, altre l’austera ribalta di un concerto reunion per omaggiare chi lasciandoci in silenzio e all’improvviso, un giorno di venti anni, fa è rimasto con noi per sempre, consegnandosi alla storia. L’amico è lo stesso in entrambi gli scenari, Fabrizio De Andrè, come una costante è la bravura dei musicisti e degli attori che nel nome di Faber hanno costruito uno spettacolo fatto di musiche, testi, canzoni e teatro, ma soprattutto di autentico affetto per un artista, cantautore straordinario, figura cardine della musica internazionale che “in direzione ostinata e contraria”, continua a cantare la sua buona novella, anche a chi non l’ha conosciuto ma lo ha amato attraverso le sue canzoni.
Quella andata in scena ieri sera – che grazie alla straordinaria partecipazione sarà replicato domenica 20 gennaio alle 18 – è una produzione di Edizione Straordinaria/Compagnia del Teatro di Mu, realizzata con il contributo dell’Associazione culturale Luci della città e in collaborazione con la libreria Ubik di Catanzaro, che ha affidato alla forza emotiva e artistica di Salvatore Emilio Corea e Marcello Barillà (alla chitarra con la sua voce calda) una performance capace di coinvolgere e trascinare, grazie agli arrangiamenti nuovi e vivacizzati dall’abilità degli “accompagnatori”: Alessandro Ansani al piano, tastiere e “Fender Rhodes”, Christian Buffa, al basso e contrabbasso, Massimiliano Rogato alle chitarre ed Emanuele Russo alla batteria e percussioni. A incorniciare con un tocco di classe il tutto la voce di Maria Carmen Mendolia, orgoglio calabrese affermatosi fino a New York dove ha vinto il primo premio del Festival della Canzone Italiana, l’interpretazione degli attori Gianpaolo Negro (grande mattatore poliedrico) e Claudia Olivadese (talento che sta spiccando il volo, ha di recente recitato agli Uffizi di Firenze e a marzo debutterà con un lavoro sul femminicidio), sempre più bravi, e l’eleganza di Emanuela Gemelli che regala intensità al testo di Mahmoud Darwish, mentre Salvo Corea che ha scritto i testi e curato la regia, ci emoziona recitando Gaber. Senza dimenticare il duetto con il griot Boto Cissokho, e la sua Kora, strumento tradizionale della cultura Mandinka, ma anche chi ha lavorato dietro le quinte, come Franco Corapi e Pasquale Rogato.
Come De Andrè, che – per dirla con le parole della moglie Dori Ghezzi – aveva il coraggio di dare qualcosa di diverso, Edizione Straordinaria/Compagnia del Teatro di Mu hanno dato corpo e sostanza ad un omaggio sentito, che per questo è stato capace di emozionare. C’era il compito arduo di inserirsi senza scivolare nello scontato nel calendario ricco di appuntamenti dedicati a questo particolare anniversario: venti anni dalla morte di De Andrè che in quella fredda mattina di gennaio del 1999 lasciò tutti senza parole, congelando nella memoria l’attimo esatto in cui la notizia venne appresa. Salvo ricorda di aver risposto al telefono della segretaria della scuola di teatro, cosa che non faceva quasi mai, e mentre ce lo racconta con la sua maestria, immediatamente nel silenzio della nostra memoria riemerge invadente quel frammento di vita legato alla scomparsa di Faber, che credevamo dimenticato. E invece ci scopriamo tutti assieme a pensare ancora a De Andrè che compone nella notte.
E così la scaletta procede in ordine sparso costruendo un ponte verso la melodia di tutti che si sussurra e si sospira, senza confini di età né muri generazionali, in un unico abbraccio: da “Canzone del maggio” a “Il testamento”, da “Bocca di Rosa” a “Andrea” a “Una storia sbagliata”. E ancora: “Disamistade”, “Coda di Lupo”, una toccante versione di “La guerra di Piero”, “Via del Campo”, un innovativo e divertente “Don Raffaè”, e poi “Il sogno di Maria”, “Geordie”, “Canzone dell’amore perduto”.
E le “Anime salve in terra e in mare”. «Sarebbe inorridito da ciò che sta accadendo. Non ci rendiamo conto di essere responsabili di questa situazione – scrive la moglie in una intervista a La Stampa – Noi gli abbiamo preso tutto, saccheggiato i loro Paesi, e loro sono scappati. Dobbiamo dare la possibilità di stare bene, abbiamo creato il problema, dobbiamo risolverlo».
L’esercito degli ultimi, dei diseredati, degli anarchici, delle puttane, dei reietti, degli afflitti, delle persone autentiche che ha raccontato e cantato sfila sul quel palco, e ci sembra di vedere il fumo di quella sigaretta che si consuma, senza tempo, dietro la sagoma di Salvo Corea, accanto al profilo della chitarra di Barillà.

Maria Rita Galati
redazione@corrierecal.it

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