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«Andreotti, uomo necessario al suo tempo»

di Giuseppe Neri*

Pubblicato il: 14/01/2019 – 15:25
«Andreotti, uomo necessario al suo tempo»

Giulio Andreotti è stato un uomo necessario al suo tempo. Il ventesimo secolo, con gli equilibri mondiali a seguito delle due grandi guerre, tracciati sulla carta a Yalta, con le contrapposizioni ideologiche drammatiche che non consentivano apparenti mediazioni, con l’urgenza di ricostruire intere nazioni travolte e distrutte dalla guerra e di rilanciarne lo sviluppo per abbattere le disuguaglianze sempre crescenti, è stato un periodo nel quale sembrava si camminasse sull’orlo del precipizio, la minaccia nucleare era sempre dietro l’angolo, le violenze di piazza e poi il terrorismo sembravano sempre sul punto di travolgere il paese e le istituzioni.
In quel periodo e per quel tempo, Andreotti è stato un uomo necessario, perché tra i pochi a esercitare il ruolo di statista e a non inseguire il quotidiano tatticismo di partito. Uno statista immerso nella quotidianità che gli consentiva di mietere centinaia di migliaia di voti ad ogni tornata elettorale. Non sono stati, però, i voti ad avergli consentito di ricoprire tutti i ruoli istituzionali presenti nel nostro ordinamento, a eccezione di Capo dello Stato, e nemmeno le tessere di partito. Andreotti non si propose mai per il ruolo di segretario della Democrazia Cristiana che nella prima repubblica rappresentava il cuore vero del potere. Non erano nemmeno i presunti misteri che custodiva e i conseguenti ricatti che esercitava secondo un certo immaginario a tenerlo in piedi nello scenario politico. E, certamente, non era la forza della mafia o di qualche suo amico contiguo con la mafia a trascinarlo negli scenari nazionali e internazionali, come si tentò di balbettare giudiziariamente. Del resto, non fu certo Totò Riina a sceglierlo Presidente della Federazione universitaria cattolici italiana prima e sottosegretario alla Presidenza del Consiglio dei ministri dopo la laurea. Furono monsignor Montini, conosciuto poi con il nome di Paolo VI, e Alcide De Gasperi, sotto l’alto patrocinio di Papa Pacelli, e se vogliamo accogliere la vulgata, anche di suor Pasqualina che di Pio XII era la governante.
Forse, l’unica descrizione che può dare una luce, anche se non completa, al personaggio e al ruolo esercitato, è quella di Francesco Cossiga: «Giulio non è un ministro della Repubblica italiana, nemmeno quando è a capo del governo, Andreotti è sempre stato dall’inizio il segretario di Stato del Vaticano».
In realtà, Andreotti ha interpretato l’uomo indispensabile per quel tempo pieno di problemi e contraddizioni, dove le soluzioni e le convivenze nazionali e internazionali camminavano su un filo sottilissimo pronto sempre a spezzarsi ma che in realtà non solo non si sfilacciò ma si rafforzò lentamente anche, soprattutto, grazie al pragmatismo quotidiano che in alcuni momenti, poteva diventare o apparire bieco cinismo di cui la storia del mondo è costellata e che in alcuni momenti drammatici ha consentito la sopravvivenza e l’avanzamento della società.
Andreotti, a chi lo accusava di essere di destra, rispondeva di essere «un moderato», cioè «un politico che combatte la demagogia e che ha idee chiare e forti che porta avanti con determinazione e pacatezza», e che «può diventare anche conservatore rispetto a soggetti che vogliono riformare senza concretezza, con leggi che spesso sono peggiori di quelli che già esistono». Concretezza non solo era il motto di Andreotti, ma anche il giornale che egli fondò negli anni 50 e diresse per anni. La concretezza che oggi forse manca.
*Segretario-questore del consiglio regionale

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