Un viaggio dentro la sanità calabrese. È quello che vi proponiamo per mezzo di una approfondita analisi a puntate realizzata da Demetrio Naccari Carlizzi e Domenico Marino. Lo studio possiede il rigore della ricerca scientifica ma vanta una tecnica comunicativa in grado di raggiungere anche i non addetti ai lavori.
Le elaborazioni sono parte di lavori in uscita su alcune riviste di settore. Ecco la prima puntata.
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Abbiamo scelto di partire da alcuni dati emblematici per una prima analisi della condizione del Servizio sanitario nazionale in Calabria. I primi dati su cui rifletteremo sono quelli relativa alla mobilità sanitaria, ai risultati di esercizio del Ssr e ai punteggi della cosiddetta Griglia Lea (Livelli essenziali di assistenza) che monitora attraverso un set di indicatori il livello di erogazione dell’assistenza sanitaria delle singole Regioni. Risultati economici e indicatori di performance, da cui far discendere alcune considerazioni che a noi sembrano incontestabili, e da cui si dovrà necessariamente ripartire per fronteggiare le criticità del sistema calabrese. È da premettere come il già commissario Scura, lamentando mancanza di supporto e collaborazione da parte della Regione, abbia giustificato proprio le basse performance sui Livelli essenziali di assistenza con la mancata trasmissione di alcuni flussi che inficerebbero i risultati del Ssr nella griglia di valutazione Lea. Non mancano poi nel panorama nazionale critiche anche fondate circa la capacità di tale indicatore di restituire un giudizio adeguato di performance dei sistemi sanitari. Tuttavia non si può prescindere da tale indicatore non fosse altro perché è quello utilizzato da anni dal Ministero della Salute per l’attività di monitoraggio dei sistemi regionali e determina l’accesso alla quota premiale del finanziamento. La stessa eventuale mancata trasmissione dei dati è peraltro (di per sé) l’indicazione di una grave carenza organizzativa e gestionale.
MOBILITÀ SANITARIA
Iniziamo dai dati finanziari sulla Mobilità sanitaria tra Regioni, ovvero, sugli effetti economici della fuga di pazienti regionali verso erogatori fuori regione in virtù del principio di libera scelta.
Come vedremo, le prestazioni sanitarie in favore dei non residenti costituiscono una voce rilevante per i bilanci regionali in entrata per poche Regioni e in uscita per molte altre. Ciò perché le regioni di partenza sono chiamate a compensare i costi delle prestazioni in fuga alle Regioni che le erogano.
La mobilità passiva, costituisce quindi anche un indicatore di performance (bassa performance, alta mobilità passiva) della Regione che “perde” pazienti e rappresenta un debito della Regione di provenienza. Si realizza in sostanza con la Mobilità sanitaria un aspetto tipico dei sistemi di Federalismo Competitivo: il “voto con i piedi” dei cittadini-pazienti che votano-scelgono, appunto con i piedi, di spostarsi dalla propria residenza ed andare a farsi curare altrove.
La mobilità sanitaria extraregionale vale oltre 4 miliardi di euro (arriva a 4,6 nella bozza di riparto 2018) annui ed è in gran parte passiva per le Regioni meridionali ad eccezione del Molise. Sostanzialmente i vantaggi finanziari sensibili sono a beneficio soltanto di 4 Regioni: Lombardia, Veneto, Emilia e Toscana; mentre Friuli, Umbria e Molise ricavano entrate modeste.
Limitiamo il ragionamento alle Regioni in “piano di rientro” (Piemonte, Lazio, Abruzzo, Molise, Campania, Puglia, Calabria e Sicilia) nel periodo 2009-2016. Il grafico seguente mostra il saldo della mobilità per queste Regioni:
Se analizziamo questi dati (2009-2016), sui quali è possibile una valutazione completa alla luce della approvazione definitiva dei riparti e dei bilanci consolidati, notiamo che tra le 8 Regioni in piano di rientro 6 appartengono proprio al Mezzogiorno. Di queste, Campania, Calabria, Sicilia e Puglia da sole hanno pagato oltre 7 miliardi di euro alle Regioni riceventi per Mobilità negli otto anni analizzati.
I flussi finanziari generati dalla mobilità sono quindi molto rilevanti, è emblematico il grafico seguente che confronta il saldo di mobilità (passivo) della Calabria e quello (attivo) della Lombardia.
Nel periodo 2009-2016 la Calabria paga a varie Regioni per la Mobilità oltre 2 miliardi di euro mentre la Lombardia riceve oltre 4 miliardi di euro. Se rapportiamo la spesa al costo di costruzione di un ospedale medio, sarebbe come dire che la Calabria perde le risorse per 8 ospedali nuovi e la Lombardia ne riceve per 16!
MOBILITÀ VS DEFICIT CALABRIA
È evidente quindi come tale flusso finanziario incida in maniera rilevante sul risultato di esercizio della Regione e ciò (il deficit) si ripercuota poi sul livello di pressione fiscale sopportato dai contribuenti (della Regione in passivo) riducendo le risorse a disposizione per le scelte di bilancio.
Il grafico successivo mette in evidenza il saldo di mobilità con il risultato di esercizio in tutte le Regioni.
Balzano agli occhi sia i beneficiari della Mobilità (4 Regioni) che l’incidenza della migrazione che è, per le Regioni del Sud, funzione del Risultato di gestione.
Possiamo tirare una prima conclusione: la produzione di deficit per le Regioni del Sud è spesso conseguenza dei costi della Mobilità. Per la Calabria tale correlazione è particolarmente evidente come si evince dal grafico seguente.
I saldi di Mobilità in Calabria sono un multiplo delle perdite. La considerazione che nasce spontanea è che riducendo di un terzo la Mobilità passiva il Ssr calabrese andrebbe in pareggio. Addirittura in quasi tutti gli anni di riferimento sarebbe in attivo. Ciò consentirebbe oltretutto di destinare i circa 100 mln di euro di prelievo Irpef e Irap, ogni anno impiegati per il ripiano perdite, ad altri scopi ovvero di ridurre il carico fiscale su famiglie e imprese.
Purtroppo i dati offerti al tavolo Adduce (tavolo ministeriale di monitoraggio) indicano per le annualità 2017 e 2018 un pericoloso aumento del deficit oltre il livello di copertura della fiscalità dedicata (quota Irpef e Irap).
Se qualcuno fosse curioso di conoscere le preferenze dei calabresi e quindi le Regioni più attrattive il grafico seguente offre uno spaccato delle prime tre destinazioni scelte dai pazienti in fuga dalle singole province.
La Puglia è la prima destinazione per i cosentini come la Sicilia per i reggini per motivi di contiguità territoriale. Per il resto la Lombardia, l’Emilia e il Lazio sono una destinazione comune per la presenza di alcune strutture sanitarie molto attrattive.
DEFICIT DELLE AZIENDE SANITARIE
Chi genera le maggiori perdite tra le aziende calabresi? La domanda ha un suo senso anche per valutare profili di equità nella gestione delle risorse e il contributo dei territori alla tenuta economica regionale. Ci aiutano i tre grafici seguenti.
Il primo indica il risultato di esercizio per l’anno 2017 delle aziende sanitarie calabresi.
Nel commentare le evidenze mostrate dal grafico, la premessa d’obbligo è che i risultati dell’ASP di Reggio sono da valutare con estrema cautela visto che l’azienda non approva i bilanci dal 2015 e nei periodi precedenti ha una delle peggiori performance economico finanziarie del Paese.
Il grafico evidenzia come siano le aziende territoriali quelle che producono un maggiore deficit rispetto alle ospedaliere.
Il secondo grafico mostra il risultato di esercizio delle sole aziende territoriali nel periodo che va dal 2013 al 2017.
L’Asp di Cosenza guida la classifica del deficit prodotto nel quinquennio con 172 mln di euro a fronte dei 385 complessivi, mentre la più virtuosa è l’Asp di Vibo Valentia con meno di 6 mln di euro.
Il terzo grafico rappresenta i risultati di esercizio delle aziende ospedaliere nello stesso quinquennio.
L’Ao Mater Domini ha prodotto nel quinquennio un deficit di circa 102 mln sul totale (delle 4 aziende) di 151 mln di euro, esattamente il 68 %! All’opposto l’Ao di Reggio che, beneficiando di una storica sana gestione dei conti e non senza polemiche sul razionamento dei presidi sanitari, del personale e dei servizi, ha prodotto un risultato positivo per circa due mln di euro.
GRIGLIA LEA
La riduzione/eliminazione del deficit, conseguente alla normalizzazione della Mobilità passiva a livelli fisiologici, non può certamente avvenire senza una riqualificazione dell’offerta sanitaria regionale. Purtroppo gli indicatori della Griglia Lea segnalano una tendenza opposta, conseguente ad una impostazione dei piani di riqualificazione dei sistemi sanitari commissariati focalizzata solo sul contenimento del deficit economico-finanziario.
La Calabria in questo senso va al passo del gambero. Se infatti analizziamo i risultati ottenuti in relazione all’indicatore Griglia Lea scopriremo che nel 2017 la Calabria è l’ultima Regione se si esclude la Provincia Autonoma di Bolzano che però non è soggetta agli adempimenti e il cui dato quindi non è confrontabile.
Il grafico seguente mette in evidenza l’andamento dei Lea in Calabria tra il 2012 e il 2017.
Nel periodo 2012-2014 la Calabria era classificata tra le Regioni “adempienti con impegno” mentre dal 2015 scivola tra quelle classificate come “inadempienti”.
Mentre il grafico seguente confronta i risultati delle Regioni del Sud tra il 2015 e il 2016.
La Calabria quindi è l’unica Regione del Sud che nel 2016 regredisce nel punteggio e nel 2017 ha la performance peggiore. Arretra insieme alla Sicilia ma con un risultato sensibilmente peggiore. Non serve interrogarsi in questa sede sull’impatto che una bassa qualità di erogazione dei servizi determina sulla decisione di migrare dei pazienti. È evidente però che Qualità dei servizi, Mobilità e risultati economico finanziari siano strettamente collegati tra loro.
[Concludiamo questa prima puntata con il ricordo del dottor Consolato Campolo che era una delle figure più preziose del nostro Ssr e si apprestava a raccogliere la sfida affidatagli con lungimiranza dal commissario Scura dopo l’ottimo lavoro svolto all’Asp di Vibo Valentia, ed è venuto prematuramente a mancare. I suoi risultati e il suo rigore siano per tutti noi l’esempio del cammino possibile e di un garbo umano che tutti vorremmo avere].
Demetrio Naccari Carlizzi (P4C) Domenico Marino (Unirc)
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