CATANZARO «Posso comunque affermare con certezza che la rapina alla Sicutransport senza il placet di Paolo Lentini non sarebbe mai stata realizzata». Ad affermarlo è Santo Mirarchi, collaboratore di giustizia di Catanzaro incardinato nel locale di Isola Capo Rizzuto. Paolo Lentini, detto “pistola” è convolto nel processo “Jonny” (dove è stata chiesta per lui una condanna a 20 anni di reclusione) ed è considerato dirigente del clan Arena dopo l’arresto dei boss Giuseppe e Pasquale Arena. Le parole di Mirarchi, registrate davanti ai pm della Dda di Catanzaro Paolo Sirleo e Debora Rizza, sono state depositate agli atti del processo sulla rapina alla Sicurtransport avvenuto a dicembre 2016. Un colpo da 8 milioni e mezzo di euro, organizzato meticolosamente da una banda armata formata da calabresi e pugliesi. Dodici di loro oggi affrontano il processo davanti al Tribunale ordinario di Catanzaro e le accuse che vengono contestate sono aggravate dal metodo mafioso perché secondo l’accusa i rapinatori hanno agito solo dopo avere ottenuto il benestare delle cosche crotonesi, ossia gli isolitani, i cutresi, i mesorachesi e i petilini, che controllano il territorio catanzarese. A riprova del controllo che i crotonesi esercitano sul capoluogo vi sono diversi processi in corso compresa la maxi-indagine “Jonny” condotta contro le cosche di Isola Capo Rizzuto. A gravare il quadro ci sono ora le dichiarazioni del braccio catanzarese degli isolitani, Santo Mirarchi, secondo il quale per quanto riguarda la rapina al caveau anche lui in origine era stato coinvolto da suo cugino Armando Abbruzzese detto Piti Piti. « Vi erano però problemi – afferma Mirarchi – di tipo organizzativo e noi non eravamo attrezzati. Ricordo – era la fine del 2015 – che interpellammo U Gigliotti perché era pratico di rapine. Ricordo anche che, sapendo che tra gli insediamenti industriali di Germaneto ove era ubicato il caveau della Sicurtransport, vi era anche un capannone dei Megna adibito a stoccaggio di medicinali, dissi che sarebbe stato necessario parlare con Paolo Lentini, poiché era essenziale sapere se effettuando il colpo avessimo calpestato i piedi a un soggetto protetto da una determinata cosca. Per questo so che il Gigliotti si rivolse al genero perché ottenesse il via libero da Paolo Lentini. Poi non seppi più niente perché fui arrestato. Sicuramente una percentuale sarà andata anche a Piti Piti».
Alessia Truzzolillo
a.truzzolillo@corrierecal.it
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