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«Mio padre, un morto di serie b che ha pagato per le colpe degli altri»

Giuseppina Mezzatesta ricorda il padre Gregorio, ucciso a Catanzaro nel 2017. «L’ennesima vittima di una terra malata ma ai giornali non interessa chi era». Le sue parole anche per Francesco Pagliu…

Pubblicato il: 25/01/2019 – 17:46
«Mio padre, un morto di serie b che ha pagato per le colpe degli altri»

Riceviamo e pubblichiamo la lettera di Giuseppina Mezzatesta, figlia di Gregorio, il dipendente delle Ferrovie della Calabria, ucciso il 24 giugno del 2017 a Catanzaro. Per il suo omicidio è accusato il 32enne Marco Gallo. Gregorio Mezzatesta era anche il fratello di Domenico, in carcere per il duplice omicidio di Decollatura del 2013.
Oggi è il 25 gennaio 2019… Sono passati tre giorni dall’ultima udienza del processo di mio padre e 19 mesi dalla sua morte.
Come ogni mattina, da quando lui non c’è più, entro in macchina e viaggio fino a Lamezia Terme e, come ogni mattina piango. Il dolore per la sua mancanza è troppo forte. Ogni cosa mi ricorda lui e gli incubi che faccio ogni notte.
Svegliarsi la mattina non è facile perché non voglio rendermi conto dell’incubo in cui vivo. Sorrido e cerco di andare avanti ma tutto mi riporta sempre a quel maledetto 24 giugno 2017.
Ero una persona felice e con tanti sogni, oggi invece spero solo che non accada nulla di grave.
La mia vita viene sconvolta il 9 agosto 2016 quando nel cuore della notte ricevo una telefonata: «Hanno sparato a Pagliuso». Mi alzo, spalanco le finestre per cercare di respirare e corro davanti casa di Francesco, il mio dominus, l’avvocato che sarei voluto essere, non c’era più.
Dal quel giorno scatta la voglia di giustizia e sapere chi ha mai potuto fare così tanto male. La tesi prevalente è la vendetta contro Giovanni e Domenico Mezzatesta e da lì il mio nome diventa pesante quanto un macigno.
Passa un anno e, nuovamente, vengo svegliata da una telefonata: «Hanno sparato a Zio Gregorio!»
No, non è possibile, non è vero… Non respiro, corro di nuovo ad aprire le finestre per cercare di respirare.
Mi vesto e corro fuori, devo andare da papino mio, ha bisogno di me…
Ma papà è già morto e a me tocca il compito più difficile… Vado da mamma, le chiedo di vestirsi e le dico che il suo grande amore è morto!
Poi il viaggio verso Catanzaro, lunghissimo… Arrivo da mia sorella… In testa sento ancora lei e la vedo correre come una pazza nel disperato tentativo di vederlo.
Lui è lì, seduto ancora nella macchina, si vedono i vetri e il sangue. Papino non c’è più.
I carabinieri mi guardano negli occhi, dai loro sguardi, che non dimenticherò mai, capisco che mio padre è l’ennesima vittima di una terra malata.
Ci concedono di vederlo un’ultima volta, è lì, disteso sul caldo asfalto di giugno ed io non posso nemmeno toccarlo.
Sollevo mia mamma e mia sorella, i carabinieri ci vogliono sentire.
Da quel giorno viviamo solo nel dolore, quello di chi ha perso un padre ed un marito fantastico. Eravamo il suo unico scopo di vita, non riusciva a stare senza vederci, senza telefonarci.
Ma perché mio padre? Oggi, posso rispondere perché era solo buono.
Dalle indagini svolte per il suo omicidio e dal fermo eseguito il 10 gennaio 2019, emerge con chiarezza e certezza che mio padre era un uomo onesto che non ha mai avuto nulla a che fare con quel mondo malato. La sua unica colpa è stata quella di avere un fratello orribile.
Oggi però capisco anche che la semplicità e l’onestà non pagano.
Mio padre è un morto di serie B, ai giornali non interessa sapere chi era, a me le interviste non le hanno chieste.
Però merita che qualcuno gli dedichi qualche parola. E come ho fatto in passato preferisco usare le sue, alcuni dei messaggi che mi mandava.
«Ogni volta che te ne vai mi si spezza il cuore»
«Papà è arrivato, sei contenta?»
«B.C.B.M. Buon compleanno bambina mia»
Papà era così. Mi accarezzava il viso dicendomi «paparunella mia». E mi manca tanto.
Il suo unico pensiero era dare un futuro a mia sorella e vedermi avvocato. Ci è riuscito ma dopo una vita di lavoro per farci studiare gli hanno impedito di vivere la gioia di vedermi indossare quella toga.
Dopo quello che mi è accaduto è come se si fosse strappato un velo che copriva il mio mondo.
Pensavo di vivere su un’isola felice per poi scoprire la cattiveria che cresce ed ha radici profonde nella nostra terra.
Continuo a vivere nella mia casa, a frequentare gli stessi posti ma la gente è diversa, è omertosa e la paura li divora da dentro.
Quanto accaduto negli ultimi giorni è stata l’ennesima pugnalata e l’ennesima conferma che mio padre ha solo pagato colpe di altri.
Ma devo andare avanti, devo lottare affinché mio padre abbia la giustizia che merita, quella in cui ho sempre creduto e che esiste.
Ringrazio con tutto il cuore coloro che lavorano giorno e notte per cercare la verità e nei quali credo e confido.

Giuseppina Mezzatesta

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