Ultimo aggiornamento alle 15:05
Corriere della Calabria - Home

I nostri canali


Si legge in: 5 minuti
Cambia colore:
 

«Civita, cinque mesi dopo»

di Claudio Cavaliere*

Pubblicato il: 29/01/2019 – 8:45
«Civita, cinque mesi dopo»

Sono passati cinque mesi da quel 20 agosto quando le acque del Raganello si sono portate via dieci vite.
Ero lì quel giorno, insieme a Giancarlo, testimoni superflui di qualcosa di irreparabile con ancora nelle orecchie la voce di quel vecchio del posto che ci diceva: «Ma non lo sanno che questo fiume ha portato le vacche al mare …?». Con ancora negli occhi quella ragazzina uscita dalle gole che ho accompagnato al bar, il viso pieno di fango, scalza, tremante come le ali di una libellula. Con l’immagine di una comunità che ha saputo dimostrare grande solidarietà e partecipazione attiva.
Per me il Pollino non è un richiamo è un ordine secco. Difficile da spiegare razionalmente quando lo senti in testa e negli occhi ti si materializzano immagini e nel naso gli odori. Camminare, ciondolare in questo mondo degli dèi che tendono trappole, nel mondo delle aquile, dei lupi, dei dimenticati non ha prezzo. Ne ho storie da raccontare di questi posti.
Emanuele non c’è, è partito per la sua transumanza sentimentale invernale, l’ho sentito al telefono. Va a svernare dalla zita, su al nord. Per me rimane quello che mi ha fatto conoscere questi luoghi, che mi ha trovato la casa, che i primi anni mi prendeva in giro perché mi perdevo sempre nonostante portassi con me la sua guida. E quando ci incontravamo mi chiedeva con il suo inconfondibile accento arbereshe che strascica le parole come un sardo: «Allora dove ti sei perso questa volta».
Parliamo della situazione, tra tutti gli articoli letti sul disastro i suoi mi sono sempre apparsi i più lucidi, concreti, profetici addirittura. Lui è nato qui, ci vive, dell’ambiente ha fatto il suo lavoro e mi immagino come deve sentirsi quando deve leggere di qualcuno che ha “scoperto le gole”, manco fosse un nativo americano di fronte a Colombo.
Il 4 aprile del 2018 scriveva: «Il Canyon del Raganello ha bisogno di un regolamento perché negli ultimi anni l’afflusso indiscriminato di visitatori ha notevolmente contribuito a modificare l’assetto ambientale del Torrente. Noi di Civita, che qui siamo cresciuti e lo abbiamo esplorato sin da ragazzi, abbiamo le prove di questo cambiamento. Sono scomparsi tantissimi uccelli e non ci sono più pesci; lo schiamazzo di gente che batte i caschi in acqua, come se si trovasse in un qualsiasi acquapark, deve essere eliminato o quantomeno ridimensionato». Come esempio virtuoso portava quello delle Valli Cupe di Sersale, con ingresso a pagamento, l’uso obbligatorio dei caschi e di adeguata attrezzatura e proponeva un ufficio che fornisse informazioni precise, fatto di personale capace in grado di consigliare (o sconsigliare) una determinata meta, capace di costituire un buon filtro, senza per questo essere limitanti o “escludenti” verso una persona o un gruppo.
Dopo la tragedia è diventato ancora più drastico. Adesso è per il numero chiuso e per limitare l’accesso solo tra metà giugno e primi di settembre. «Ho l’impressione – mi dice – che la comunità sia come spaccata. Una metà è consapevole di quello che è accaduto e capisce che è necessario trovare dei correttivi. L’altra metà forse pensa che tutto tornerà come prima. Ci avviamo verso la stagione estiva senza sapere esattamente ciò che accadrà anche perché sul versante delle indagini ancora non ci sono punti fermi e ogni tanto il magistrato annuncia ulteriori novità».
Alle otto i due bar di Civita sono aperti ma la piazza è deserta. Non ci sono più i grandi cartelloni che pubblicizzavano le escursioni guidate nelle gole e nei due locali sede delle associazioni non ci sono più le insegne. Scendo al Ponte del diavolo di nuovo aperto. Non c’è nessuno. Guardo le gole dall’alto e il torrente, nonostante il mese invernale, non è nemmeno paragonabile a quello di quel malaugurato giorno.
Le parole di Emanuele Pisarra mi fanno tornare alla mente un episodio. Una delle ultime volte che sono stato nelle gole ho fatto il percorso partendo da monte, da San Lorenzo Bellizzi. Un tratto fino alla valle dei ciclopi e poi sono tornato indietro. All’uscita a San Lorenzo mentre ci cambiavamo arrivarono due disperati, tremanti dal freddo, distrutti dalla fatica, con niente addosso se non una maglietta e un paio di pantaloncini. Avevano fatto tutte le gole partendo dal ponte del diavolo e adesso volevano sapere se c’era un taxi che potesse riaccompagnarli a Civita. Un taxi! Per dire il livello di quelli che si avventuravano e che giustamente facevano scrivere a Emanuele quattro mesi prima della sciagura: «Noi non possiamo permetterci che accada un incidente mortale nel Raganello: i tanti interventi effettuati del Soccorso alpino in questi anni per vari incidenti per fortuna non gravi, sono segnali che non bisogna trascurare, perché nel momento in cui si verificasse un tale evento, il prefetto chiuderebbe le Gole e…»
Salgo a colle Marcione. L’anfiteatro naturale della valle del Raganello è ricoperto di neve con i monti a chiuderla a corona: Manfriana, Serra Dolcedorme, Serra di Crispo, Serra delle Ciavole, la Falconara, il monolite della Timpa di San Lorenzo, Timpa Porace. Mettiamo le ciaspole e ci avviamo verso Timpa di Cassano passando davanti all’ovile del mio amico Lorenzo adesso vuoto per la neve. Mentre saliamo dal versante est un’aquila ci gira intorno due volte, bassa, la testa visibilissima. Scendiamo nella conca che divide Timpa di Porace da Timpa di Cassano come un bob, più con il culo che con i piedi e da lì la Timpa di San Lorenzo svetta come la pinna di un enorme cetaceo.

*sociologo

Argomenti
Categorie collegate

Corriere della Calabria - Notizie calabresi
Corriere delle Calabria è una testata giornalistica di News&Com S.r.l ©2012-. Tutti i diritti riservati.
P.IVA. 03199620794, Via del Mare, 65/3 S.Eufemia, Lamezia Terme (CZ)
Iscrizione tribunale di Lamezia Terme 5/2011 - Direttore responsabile Paola Militano
Effettua una ricerca sul Corriere delle Calabria
Design: cfweb

x

x