COSENZA Sono stati condannati a sei mesi di reclusione (pena sospesa), a 20mila euro di multa oltre al pagamento delle spese processuali Fulvio Serra e Giampaolo Serra, entrambi coinvolti nelle indagini che hanno riguardato lo sfruttamento dei migranti tra i monti della Sila cosentina tra i comuni di Camigliatello e San Giovanni in Fiore. Si erano avvalsi attraverso i loro difensori di procedere con rito abbreviato e il giudice Piero Santese, dopo il dibattimento, li ha condannati per la violazione dell’articolo 22 del testo unico dell’immigrazione che regolamenta il lavoro subordinato a tempo determinato e indeterminato. La violazione della norma specifica era stata avanzata nel mese di ottobre dal procuratore aggiunto Marisa Manzini (qui la notizia) che per i due nel corso della requisitoria aveva chiesto la condanna a 2 anni di reclusione oltre al pagamento di 3mila e 500 euro di multa. Il giudice ha accolto solo in parte la richiesta, infatti, Fulvio e Giampaolo Serra entrambi alle dipendenze della azienda agricola “La Sorgente” sono stati assolti dall’accusa di intermediazione illecita e sfruttamento del lavoro con l’aggravante prevista per «aver commesso il fatto esponendo i lavoratori sfruttati a situazioni di grave pericolo, avuto riguardo alle caratteristiche delle prestazioni da svolgere e delle condizioni di lavoro».
Per gli altri imputati: Imbrogno Vittorio Francesco, Franco Provato, Giorgio Luciano Morrone, Luca Caurcci, Gianluca Gencarelli, Piero Cortese, Renato Gabriele, Giuseppe Gabriele, Giorgio Gabriele, Vincenzo Perrone, Salvatore Perrone, Vincenzo Paese e Celestino Ferruccio, il Gup ha disposto il rinvio a giudizio per tutti i capi di imputazione a loro ascritti e dovranno presentarsi davanti al tribunale di Cosenza in composizione collegiale il prossimo 2 maggio.
«NON SIAMO PRONTI A QUESTI PROCESSI» Un confronto serrato, in punta di diritto e senza esclusione di colpi. Alla requisitoria del procuratore aggiunto Marisa Manzini è seguita un’articolata arringa difensiva degli avvocati dei due imputati che hanno scelto il rito abbreviato (i legali Franz Caruso e Gabriele Volpe). Da una parte la pubblica accusa con in mano le testimonianze dei migranti rese nel corso delle udienze preliminari, la loro paga misera e i lavori usuranti per molte ore al giorno. Dall’altra i legali degli imputati pronti a smontare l’impianto accusatorio nei fatti e in diritto, forti del dispositivo del Tribunale delle Liberta e dalla sentenza della Corte di Cassazione avverso il ricorso presentato dalla Procura. Dalla intenzione di assumere i lavori, alle controverse deposizioni da parte dei migranti sentiti come testimoni, è lunga la carrellata dell’avvocato Caruso le cui tesi difensive sono state condivise solo per l’assoluzione degli imputati dal reato previsto al terzo comma dell’articolo 603 bis del codice penale. Di certo, un procedimento iniziato in tempi non sospetti, e che ben aderisce con la situazione politica attuale. Non è un caso che proprio sul punto dell’errata cognizione delle dichiarazioni dei migranti il procuratore aggiunto ha evidenziato come il tribunale di Cosenza «dovrà iniziare ad abituarsi a questi processi. Predisponendo delle figure che siano specializzate nell’interpretazione» e rimarcando come «la buona fede e la veridicità di alcuni testimoni sia stata provata soprattutto nel corso delle udienze». La condanna per la violazione dell’articolo 22 del testo unico dei migranti, costituisce un inedito tra le aule del palazzo di giustizia cosentino. «Circostanze a cui dobbiamo adeguarci visto l’andamento», ha concluso la Manzini.
Michele Presta
m.presta@corrierecal.it
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