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Omicidio Fiorillo, il cold case ancora senza un movente – VIDEO

Gli inquirenti ricostruiscono le dinamiche che hanno portato all’arresto di D’Angelo e Ramondino. La cattura di Zuliani decisiva per risalire agli altri due sospettati. Seguite diverse piste, tra c…

Pubblicato il: 06/02/2019 – 12:56
Omicidio Fiorillo, il cold case ancora senza un movente – VIDEO

CATANZARO «Fatti omicidiari senza colpevoli non ne possono esistere. Non possiamo permetterci di dimenticare casi difficili come questo che rischiano di rimanere insoluti». È quanto ha dichiarato il questore di Vibo Valentia, Andrea Grassi, nel corso della conferenza stampa sugli arresti di Arcangelo D’Angelo, 28 anni, e Saverio Ramondino, 26, accusati dell’omicidio di Francesco Fiorillo, 45 anni, avvenuto il 15 dicembre 2015. Un nuovo tassello in questa vicenda, che mostra ancora diversi lati oscuri, è stato posto grazie alle indagini della squadra mobile di Vibo, guidata da Giorgio Grasso, dal Servizio centrale operativo di Roma e dalla polizia scientifica di Vibo.
L’ARRESTO DI ZULIANI E LE NUOVE INDAGINI A marzo 2018 per l’omicidio Fiorillo è stato arrestato Antonio Zuliani, 26 anni, inchiodato dal ritrovamento di un guanto di lattice sul luogo del delitto ossia vicino a casa della vittima (freddata da colpi di pistola mentre rincasava). Ma Zuliani non poteva avere agito da solo, hanno spiegato Grasso e i pm Filomena Alberti e Concettina Iannazzo. Zuliani, infatti, era privo di patente e qualcuno avrebbe dovuto certamente accompagnarlo. Le indagini si sono concentrate allora sulle abitudini dell’indagato e sulla cerchia di persone a lui vicine che avrebbero potuto supportarlo nell’azione omicidiaria.
Stringendo il cerchio si è giunti a D’Angelo e Ramondino. D’Angelo è risultato l’unico a possedere un’automobile, tra l’altro dotata di scatola nera, quelle installate dalle assicurazioni. La polizia ha tracciato il Gps dell’auto dell’anno 2015 e ha verificato che la macchina è passata più volte sul luogo del delitto in orari corrispondenti a quelli dell’agguato mortale. Non solo. Cinque giorni prima la stessa auto aveva sostato per 6 minuti sul posto, presumibilmente per studiare le caratteristiche del luogo e per tracciare eventuali vie di fuga.
https://youtu.be/l121pxaAYOA
LE DICHIARAZIONI DI ZULIANI Mentre le indagini erano in corso su questi fronti, Zuliani ha deciso di rendere dichiarazioni agli inquirenti. L’indagato ha fornito una sua versione dei fatti dando indicazioni sulla fase preparatoria dell’omicidio indicando il luogo in cui i tre indagati si sarebbero esercitati con le pistole prima di colpire Fiorillo. Su quel luogo, in effetti, in località Santa Ruba, sulla strada che da Vibo porta a San Gregorio D’Ippona, gli agenti hanno ritrovato bossoli compatibili con quelli dell’omicidio. Zuliani con le sue dichiarazioni ha scaricato ogni responsabilità su D’Angelo e Ramondino affermando di non essersi mai recato a compiere l’agguato e che quel guanto col suo dna trovato sul luogo dell’omicidio è stato lasciato dai due ex amici come ritorsione per non aver voluto partecipare al delitto. Una tesi, quest’ultima, che non convince affatto gli investigatori.
LE MINACCE INVIATE CON LA NONNA Sempre secondo le dichiarazioni di Zuliani, corroborate dalle testimonianze dei familiari, Ramondino avrebbe mandato un’imbasciata in carcere all’indagato tramite la nonna di questi: se Zuliani avesse fatto i nomi dei due amici, lui avrebbe detto che l’omicidio era stato compiuto per conto dello stesso Zuliani, aggravando così la sua posizione.
PUNTI DA CHIARIRE In realtà nessun dato oggettivo emerge nei rapporti tra i tre indagati e la vittima. Nessun contatto, nulla che possa ricondurre a un movente. Le ipotesi al vaglio degli investigatori sono diverse. Indagando su Fiorillo sono emerse tendenze pedofile. Inoltre la vittima era stata arrestata per droga e gli altri due indagati avevano precedenti per droga. Ramondino nel 2014 fu vittima di gambizzazione. Sono tutti profili che al momento vanno scandagliati a fondo alla ricerca di un fil rouge o di eventuali nuove responsabilità.
Quello che si sa per certo è che i due nuovi indagati avevano spento i telefoni nel giorno del delitto per riattivarli successivamente. La prima persona telefonata che Ramondino fa quando accende il cellulare è a un numero intestato alla nonna di Zuliani. Risulta anche confermato dalle celle telefoniche la dichiarazione di Zuliani secondo la quale lui e Ramondino avessero fatto un viaggio a Roma dopo il delitto. Tasselli che danno conferme agli inquirenti sulle presunte responsabilità dei tre indagati. Ma le indagini non si fermano qui.

UNITÀ DELITTI INSOLUTI
«Da anni la polizia di Stato, lo Sco e le Squadre mobili hanno costituito un gruppo di lavoro ad hoc chiamato Unità delitti insoluti – ha detto il questore Grassi –. I risultati di oggi sono stati possibili grazie alla sinergia tra la squadra mobile, lo Sco di Roma e il servizio di polizia scientifica che hanno allacciato le investigazioni tradizionali a quelle scientifiche e tecnologiche».

Alessia Truzzolillo
a.truzzolillo@corrierecal.it

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