CATANZARO «Sognare in grande ed essere ambiziosi». E nello stesso tempo, non temere la “vulnerabilità” – quel modo di essere che avvicina gli anziani e i bambini – che rende le persone uniche. Nelle pieghe di una conversazione coinvolgente e delicata, divertente e a tratti commovente, dedicata al rapporto tra musica e cinema, la straordinaria esperienza professionale e umana di uno dei registi più amati e prolifici del cinema italiano, Pupi Avati, va in scena sul palcoscenico del teatro Politeama “Mario Foglietti” di Catanzaro nell’ambito della rassegna “Musica & Cinema. I luoghi ritrovati”, prodotta dalla Fondazione Politeama, evento che ha ottenuto l’inclusione nella graduatoria del bando regionale «per la valorizzazione del sistema dei beni culturali e per la qualificazione dell’attuale offerta culturale presente in Calabria». È proprio il caso di dire “va in scena” perché il racconto del rapporto tra la musica, il jazz in particolare, e il mondo di celluloide che Avati ha scelto, soprattutto dopo l’arrivo da Bologna a Roma, prende corpo nelle parole tonde, nelle espressioni colorite, nel flusso di pensieri e aneddoti di una vita che coincide con pagine importanti della storia sociale ed economica del nostro Paese. Il maestro è regista, sempre. E conduce il suo intervistatore, il giornalista e scrittore Fabrizio Corallo – comodo sul divano piazzato per l’occasione sul palco del Politeama – dove vuole: lungo le colline bolognesi che lo riportano verso i portici in una Fiat 500 con al fianco la donna più bella che avesse mai visto, diventata sua moglie; in cima alla “Sagrada Famiglia” a Barcellona, pronto a spingere di sotto un acerbo Lucio Dalla, clarinettista di talento, in tournee con la band “dei ginecologi” salvo scoprire che del curioso aneddoto è autentica solo l’invidia provata per quel “nano” spiantato e ambizioso, diventato uno degli amici più cari. Sul palco anche il sovrintendente Gianvito Casadonte, che ha voluto fortemente questo appuntamento, e il direttore generale Aldo Costa, che assieme al sindaco Sergio Abramo ha consegnato al maestro Avati una targa a suggello di questa attesa occasione. «La presenza al Politeama di un maestro del calibro di Pupi Avanti – ha sottolineato Casadonte – ci inorgoglisce e rende ancora più preziosa questa nostra rassegna dedicata al rapporto tra cinema e musica. Ringrazio di cuore il maestro Avati per avere accettato il nostro invito».
«La musica e il cinema sono le due forme espressive più significative del Novecento, che si fonda sul cinema e sul jazz – esordisce Avati –. Poiché mi sono occupato di entrambi ne so abbastanza per potere interessare chi ci ascolta». Avati nasce clarinettista, strumento che assieme al jazz resta un suo grande amore e quella di suonarlo bene è ancora un’ambizione. Parlando del rapporto tra il cinema e la musica, non può che ricordare la sua straordinaria esperienza professionale con il grande Riz Ortolani, autore di alcune delle più belle colonne sonore dei suoi film. Avati è autore di pellicole come “Regalo di Natale”, “La casa dalle finestre che ridono”, “Il cuore altrove”, “Il papà di Giovanna”, “I cavalieri che fecero l’impresa”, “Quando arrivano le ragazze” e tantissime altre.
Quanto ai progetti, Avati racconta: «Abbiamo finito questo piccolo film gotico, per gotico si intende “de paura” come dicono a Roma, horror, che si chiama “Il Signor Diavolo”, che fa capire che non è una commedia molto consolatoria, e dovrebbe uscire nella prossima primavera. È un film che mi è piaciuto tantissimo fare perché assomiglia a quelli che facevo quand’ero ragazzo, quando ci divertivamo tanto sul set, cosa che negli ultimi anni è un po’ venuta a mancare, perché poi la professione in qualche modo rende sistematico quello che fai e la professionalità non aiuta l’entusiasmo. Invece con questo piccolo film abbiamo ritrovato quelle condizioni di un tempo che credo non gli faranno male». Perché Avati, prima di diventare il grande maestro che abbiamo conosciuto, ha vissuto altre vite, tutte finite nei personaggi che hanno preso vita nelle sue pellicole pluripremiate: clarinettista, ma anche rappresentante della Findus. «Le persone intelligenti raccontano tanto i successi quanto le cadute», rimarca prima di raccontare di come uno scambio di copione finito nella valigia di Ugo Tognazzi gli ha permesso di poter girare il film che lo ha spinto sul percorso che ha fatto decollare la carriera, “La mazurka del barone, della santa e del fico fiorone”. Quel copione che avrebbe dovuto controfirmare Paolo Villaggio, per poter ottenere il finanziamento, e causa di un passo indietro dell’attore genovese (che poi ci tenne a parteciparvi, proprio in seguito al sì di Tognazzi) ha rischiato di rimanere sul tavolino di un tennis club a Torvaianica. Tra i momenti salienti dell’incontro anche il racconto della storia d’amore con quella ragazza stupenda, sposata dopo 8 mesi da quel ritorno dalla collina a Bologna in 500, che «ha nei suoi occhi i file dell’hard disk della mia vita».
Maria Rita Galati
redazione@corrierecal.it
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