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«A rischio gli standard dei servizi pubblici»

di Ettore Jorio*

Pubblicato il: 13/02/2019 – 15:58
«A rischio gli standard dei servizi pubblici»

Il “Regionalismo differenziato”, a meno di una repentina revisione costituzionale che cancelli il terzo comma dell’art. 116, è oramai argomento con il quale dovere fare i conti. Aggiungo, per un po’ di tempo.
Ciò in quanto, scritto nel fumetto che ha appena sulla testa (Walt Disney docet) ogni Governatore regionale, si legge la voglia spasmodica delle Regioni di ottenere «ulteriori forme e condizioni particolari di autonomia» legislativa con al seguito tante risorse finanziarie in più.
Veneto, Lombardia ed Emilia-Romagna lo hanno già formalizzato da tempo al Governo e sono impegnate in una estenuante trattativa per portarsi a casa quanto votato all’unanimità dai loro Consigli regionali.
Riusciranno i nostri «eroi» a vedersi attribuire una sostanziale quota parte (è bene precisarlo, e non già nella loro inconcepibile interezza!) delle 23 materie per le prime due e delle 15 rivendicate dall’Emilia-Romagna? È questa la domanda cui occorrerebbe dare una risposta e prima che arrivi, a seguito dell’Intesa firmata dalle Regioni istanti con il Governo e della traduzione di quest’ultimo in un disegno di legge governativo, l’approvazione del Parlamento del testo che attribuisca – a maggioranza assoluta dei componenti e senza che questi possano esercitare il loro diritto di emendarlo – un siffatto popò di roba sulla Nazione.
UN NUOVO MODO DI FARE UTILMENTE PARTITO
Sul tema, tantissima la «letteratura» e le iniziative contrarie, più o meno organizzate. Si affacciano anche elaborati di proposte che non sono affatto mal concepite, del tipo quella stimolativa della macroregione meridionale. Meglio e più celere, se realizzata de facto attraverso una elaborazione di proposte di “Regionalismo differenziato” perfezionate dai diversi Consigli regionali nel medesimo giorno con le medesime pretese, tali da configurare un interesse territoriale unico e indivisibile. Insomma, un partito delle istituzioni del Mezzogiorno!
Quanto a ciò che si legge in giro, sono notevoli le differenze di contenuto, perché alcuni fondati sulla consapevolezza delle fonti che lo disciplinano e delle conseguenze reali e altri sulla facile emotività che suscitano le rivendicazioni vendute dalla politica che ha in animo da sempre l’esasperazione dell’autonomia.
A tutto questo aggiungasi un giusto richiamo alla tutela del Mezzogiorno, anche da parte di chi colpevolmente:
a) per 18 anni non ha detto nulla sulla possibilità offerta dalla Costituzione che ha peraltro voluto;
b) per circa 10 anni non ha fatto nulla perché venissero determinati i livelli essenziali delle prestazioni e costituito un fondo perequativo, garante delle regioni povere;
c) ha votato no, per dispetto verso l’uomo, al referendum voluto a Renzi (stupidamente per misurarsi e pertanto con un quesito pieno zeppo di modifiche pressoché inutili) che però modificava l’art 117 a tal punto che avrebbe reso impossibile il “Regionalismo differenziato” nelle attuali dimensioni. Alle materie disponibili sarebbe, infatti, rimasto ben poco al netto delle novellate competenze esclusive statali che comprendevano: coordinamento della finanza pubblica e sistema tributario; disciplina giuridica del lavoro pubblico; tutela della salute; politiche sociali e sicurezza alimentare; beni culturali e turismo; protezione civile; trasporto ed energia; infrastrutture strategiche e grandi reti di trasporto e navigazione.
Quanto ai contenuti delle proposte in atto di Veneto, Lombardia ed Emilia-Romagna, alle verosimili ricadute, ai timori «secessionisti» ci sarebbe tanto da dire. Prima di tutto occorrerebbe tuttavia circoscrivere bene il problema che sono in tanti tra chi vi scrive ad ammettere di avere poco approfondito l’argomento (!).
A CHE PUNTO SIAMO
Rinviando ad altra apposita sede l’esame per materia (ovvero parte di essa) rivendicata dalle tre Regioni, è appena il caso di sottolineare la tensione vissuta in questi tre giorni scanditi dalla diffusione a mezzo stampa delle tre proposte elaborate originariamente dalle altrettante Regioni, rappresentate a sezioni contrapposte. La prima con le eccezioni ministeriali recepite dalle Regioni proponenti. La seconda con quelle non accolte ovvero non ancora definite dalla burocrazia ministeriale. Il tutto senza precisazione alcuna sulle risorse finanziarie, rivendicate soprattutto dal Veneto in misura abnorme (90% del gettito erariale prodotto sul territorio regionale), dimostrando con questo che la «nave» è ancora più in alto mare di quelle che Salvini abbandona al loro destino con migliaia di migranti a bordo.
IL RISCHIO PIÙ EVIDENTE (MA SOTTACIUTO)
Dalla lettura attenta delle tre proposte si evidenziano incongruenze tali da mettere in pericolo gli attuali standard goduti dalla comunità nazionale dei servizi pubblici e delle prestazioni essenziali, ancorché discriminati in termini di qualità erogativa. Una preoccupazione che, del resto, ai più attenti si era manifestata all’indomani della revisione del 2001 ove all’uniformità dei livelli essenziali delle prestazioni (117, comma 2, lett. m) faceva naturalmente da contraltare l’esasperazione dell’autonomia attribuita al sistema autonomistico. Ciò in quanto l’esercizio dell’autonomia è sinonimo di concorrenza e, dunque, di naturale differenziazione dell’offerta (in questo caso pubblica), in quanto tale non affatto confacente con il principio dell’uniformità dei servizi resi alla collettività, per l’appunto assicurata decorosamente da due strumenti che ancora però non ci sono: la determinazione dei LEP da erogare e il fondo perequativo che assicura ovunque le risorse per assicurare i primi.
LA PROCEDURA: TERMINI A GOGÒ E VALUTAZIONI DA GIOCO DEL MONOPOLI
Lo stato dell’arte della procedura, quantomeno quella riguardante le tre Regioni, è arrivata comunque ad un punto cruciale. Dopo il primo mancato appuntamento del 15 gennaio, di completamento dell’attività istruttoria, anche quello del 15 febbraio prossimo è destinato ad eguale sorte, prescindendo dalla sceneggiata della diffusione delle tre proposte che dicono poco o nulla. E quanto dicono preoccupa non poco per quanto riguarda quelle materie che toccano più da vicino la pelle dei cittadini.
Alla notizia di discutere nell’odierno Consiglio dei Ministri delle tre proposte, lanciata allo scopo di mostrare i muscoli della puntualità istituzionale, farà seguito un ulteriore naturale rinvio. Non c’è infatti accordo sulle materie chiave, soprattutto ad alta sensibilità sociale (sanità in primis), non v’è idea alcuna di pesatura economica delle singole materie senza la quale i ministri discuterebbero di aria fritta. La richiesta del Veneto di famosi 9/10 dell’Iva, Irpef e Ires rappresenta un urlo nel deserto che rimarrà tale, anche perché non ancorata ad alcunché. A suffragarla nessuna estimazione rapportata alle richieste, alcune delle quali ancorate a criteri propagandistici (del tipo il passaggio a rapporto di lavoro dipendente dei medici di famiglia) che spaccherebbero il Paese in mille pezzi, in tantissimi elementi difficili poi da mantenere insieme.
UN’ATTENZIONE CHE NON GUASTA
Su tutto una grande preoccupazione: il federalismo fiscale è stata una riforma fatta con i piedi. Non nel senso che è stata fatta male (tutt’altro!), bensì perché consente ai cittadini di spostarsi ove la vita diventa loro più conveniente. Una opzione esercitabile da chi può lasciando a casa propria chi non ha nulla.

*docente Unical

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