Non meno di 500 milioni di euro, praticamente due terzi della massa finanziaria che la Regione Calabria ha disponibile in bilancio, al netto delle spese fisse e di quelle vincolate. Mezzo miliardo di euro, negli ultimi dieci anni: a tanto ammonterebbe, e la stima rischia di essere imprecisa per difetto, la somma che le Regioni del Centro-Nord, in particolare Lombardia, Lazio e Piemonte sottraggono illecitamente alla Regione Calabria attraverso la cosiddetta “mobilità sanitaria”, ovvero le prestazioni erogate a cittadini calabresi da strutture di altre regioni.
La “scoperta” sarebbe frutto della caparbietà del nuovo direttore generale del dipartimento salute della Regione Calabria, Antonio Belcastro, che già quando era manager della ”Mater Domini” pare avesse, senza successo, avanzato richiesta al Dipartimento per ottenere i dati della mobilità sanitaria. Promosso a capo del Dipartimento salute, Belcastro sarebbe tornato alla carica e questa volta i dati sono saltati fuori. Un rapido incrocio con quelli in possesso del Ministero (le regioni che “accreditano prestazioni” presentano il “conto” al Ministero che gira loro gli importi relativi a tali prestazioni, detraendoli dalle somme che dovrebbero essere trasferite alla Regione Calabria) avrebbe consentito di avere la conferma: la Regione Calabria ha pagato prestazioni non dovute e mai eseguite. Come è stato possibile tutto questo? Semplice, tutti sapevano che la Regione Calabria era l’unica a non aver mai effettuato, almeno con riferimento agli ultimi dieci anni, alcuna verifica sui conti presentati per la mobilità sanitaria.
Si arriva così al sibillino (ma non tanto) post comparso sul profilo Facebook dell’onorevole Antonio Viscomi, parlamentare “eretico” del Pd e presidente dell’Associazione politica “Liberi e Forti”, che annota: «La Calabria consegna 320 milioni all’anno alle altre regioni per pagare la mobilità sanitaria, cioè tutti gli interventi sanitari di cui beneficiano i cittadini calabresi in altre regioni. Tutto dovuto, sempre e comunque? Tutto in regola, dunque? Credo che qualche dubbio possa essere e debba essere ragionevolmente sollevato. Mi chiedo, e chiedo formalmente a chi ha le informazioni adeguate per dare una risposta, – prosegue la nota di Viscomi – se sia mai stato fatto un controllo sulla appropriatezza delle pratiche cliniche e sui percorsi terapeutici pagati dai cittadini calabresi alle altre regioni. Siamo sicuri che tutti i dgr delle altre regioni, che tutte le pratiche e che tutte le terapie siano corrette? Se non lo siamo, allora perché non attivare un organismo regionale di controllo che, con la collaborazione degli operatori sanitari ai diversi livelli, possa controllare ogni pratica clinica sospetta di essere scorretta consentendo alla regione Calabria di richiedere i soldi indietro. Una piccola azione, certo, che costa poco ma potrebbe consentire -conclude il post- di risparmiare molto».
Sulla rete si scatena il dibattito, mentre ulteriori elementi emergono dalle verifiche del Ministero della Salute e cominciano a dare corpo e sostanza ai sospetti.
E finalmente anche la Regione Calabria batte un colpo. Lo fa attraverso una nota del “delegato del presidente alla sanità”, Franco Pacenza, che dà notizia della istituzione «nei prossimi giorni» (che fretta c’è…?) di un «Nucleo dedicato alla verifica dei flussi di mobilità ed alla loro appropriatezza che, con il supporto tecnico adeguato, dovrà attivare tutte le procedure di contestazione e contemporaneamente verificare l’insieme dei flussi degli anni precedenti».
Un gran bel autogol, quello di Pacenza, il quale con candore conferma che la Regione Calabria, contrariamente a tutte le altre regioni, non esercitava alcun controllo sulle rendicontazioni relative alla supposta “mobilità sanitaria”, prendendo per buone quelle presentate dalla regioni “creditrici”. Addirittura solo oggi, a fine legislatura e dopo due lustri di vuoto pneumatico, ci si accinge («nei prossimi giorni») a dotarsi di un nucleo per la verifica dei flussi di spesa passiva. Complimenti.
Dopo anni passati a pontificare sulla mobilità sanitaria, usandola come argomento di contestazione all’opera dei commissari, si prende atto, da parte della Presidenza e del delegato alla sanità, che probabilmente questi flussi erano dopati, che la Calabria ha pagato prestazioni non dovute e che nel sistema nazionale era notorio che la Calabria pagava senza verificare, quindi le si poteva far carico di un conto ogni anno più salato.
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