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«Tutte le anomalie della sanità calabrese»

di E. Caterini ed E. Jorio*

Pubblicato il: 15/02/2019 – 10:34
«Tutte le anomalie della sanità calabrese»

La Calabria è da quasi un decennio impegnata in un difficile piano di rientro dal disavanzo della sanità regionale, e vittima di un quasi coevo commissariamento, prima di protezione civile (fine 2007) e poi ad acta (ex art. 120, comma secondo, della Costituzione).
Ciò è accaduto a causa di un debito pregresso milionario prodotto da un uso sconsiderato delle risorse, sottaciuto dalle diverse giunte regionali che si successero (ante 2008), e da una consolidata incapacità della politica sanitaria calabrese, rivelatasi inidonea a garantire l’esigibilità dei livelli essenziali di assistenza.
Tutto questo determinò un’elevata precarietà delle erogazioni e gravissimi fatti di malasanità che ne provocarono il commissariamento ad opera della Protezione Civile (ordinanza del Presidente del Consiglio dei Ministri del 21 dicembre 2007). Commissariamento governativo disposto per superare l’emergenza socio-economico-sanitaria a mezzo delle funzioni sostitutive assegnate all’assessore alla sanità, Vincenzo Spaziante, con lo scopo – tra gli altri – di:
1) definire la procedura di accorpamento, amministrativo e civilistico-fiscale, delle preesistenti undici aa.ss.ll. nella attuali cinque aa.ss.pp. (sancito dalla legge regionale 11 maggio 2007 n. 9). Una procedura resa difficile nella sua applicazione perché da effettuarsi per unione e non già per incorporazione, a causa della “estrosità” del legislatore regionale che, con l’anzidetta legge, aveva proceduto ad estinguere, con un improvvido colpo di spugna, tutte le undici aa.ss.ll. allora esistenti.
2) rendicontare il deficit patrimoniale in modo specifico – formalmente rappresentato in una relazione conclusiva a firma del nominato commissario di protezione civile al governatore regionale, Agazio Loiero, nel dicembre 2008, e al Presidente del Consiglio dei Ministri, Silvio Berlusconi, nel gennaio 2009. Attività conclusa in solo quattro mesi e definita di poco inferiore ai due miliardi di debito consolidato. Valore determinato senza: a) la certezza dei saldi afferenti alla situazione patrimoniale delle allora aa.ss.ll. di Reggio Calabria (al tempo sciolta per mafia e commissariata dal Governo), Locri e Palmi, in quanto all’epoca (ma pare che l’Asp reggina lo sia ancora!) perché sprovviste di bilanci veritieri; b) il rendiconto della gestione regionale accentrata della sanità, perché anche essa sprovvista del documento di sintesi contabile rappresentativo dei dati corretti, elaborati spesso a «mano libera»;
3) rimediare alla riconosciuta inidoneità del Servizio sanitario regionale calabrese ad assicurare i Livelli essenziali di assistenza alla popolazione.
Una situazione difficile e per molti versi al limite della tolleranza costituzionale, tanto da concepire – l’unico caso nel Paese – l’affidamento del servizio sanitario regionale alle cure emergenziali della Protezione Civile.
Quello registrato nel 2007 fu di tale gravità per la Calabria e per l’Italia da permanere tuttora nonostante il successivo (quasi) decennale e ancora vigente commissariamento governativo (oggi ex art, 120, comma 2, Cost.). Quell’intervento della Protezione civile diede un unico risultato apprezzabile: la rendicontazione del netto negativo patrimoniale accertato al 2007 dal soggetto attuatore del Commissario di Protezione Civile. Detta ricognizione servì a pianificare il rientro, con il ricorso al mutuo trentennale agevolato, straordinariamente concesso dallo Stato alle Regioni con i conti sanitari disastrati. Tuttavia, tale risultato non venne assunto come buona pratica dalla successiva governance, tanto che a tutt’oggi non è ancora emersa la verità contabile della sanità reggina afflitta -molto più delle altre- da doppi e tripli pagamenti eseguiti indebitamente per la medesima obbligazione.
La storia dimostra l’inefficienza dei controlli di merito interni, aziendali e regionali, e l’inutile e dispendioso affiancamento degli advisor, costato, pare, circa cinque milioni di euro in un solo anno, e decine di milioni in totale, senza produrre alcun risultato apprezzabile. La funzione di controllo degli atti aventi effetti economico-patrimoniale avrebbe potuto produrre risultati utili al sistema sanitario solo se fossero stati impegnate le giovani e valide professionalità della revisione legale e del risanamento aziendale presenti in Calabria.
A questo imperdonabile disordine dei conti, ai livelli essenziali di assistenza non percetti e alla dirigenza remissiva e supina alla politica, si sono colposamente aggiunte le procedure di verifica dei due ben noti «Tavoli» romani che, a seconda dei periodi di affidamento dell’incarico ai diversi advisor, hanno impartito critiche o lodi alle Regioni in piano di rientro, senza assicurare a tutti cittadini italiani una prospettiva di buona sanità.
Tutto questo è l’antefatto di quanto accade in Calabria senza poter distinguere le maggioranze politiche che si sono avvicendate e i commissariamenti. Tutti accumunati dalla completa inefficienza nel dare sostanza al diritto alla salute dei calabresi.
Diritto massimamente compromesso dalla grave complicità delle direzioni regionali, politiche e burocratiche, del management aziendale e della dirigenza ministeriale, artefice –questa- di una lettura irragionevole della Costituzione, sempre più piegata all’uso «alternativo» della politica.
Lettura rivelatasi anche in tema di riparto delle competenze commissariali e regionali allorquando s’è provveduto alla nomina dei direttori generali delle aziende salutari (territoriali, ospedaliere e universitarie) col potere esercitato dal Governatore piuttosto che dal commissario ad acta pro tempore.
Questa prassi è reiterata anche di recente con la nomina di commissari pro tempore (in vista delle nomine dei direttori generali aziendali) esercitata senza il rispetto delle competenze dei commissari governativi. Prassi che pone evidenti dubbi di legittimità anche per la inconcepibile reiterazione (non solo in Calabria) avvenuta in costanza di Regioni commissariate (ex art. 120, comma secondo, della Costituzione), in quanto tali sostituite dal Governo nelle funzioni amministrative e normative, tranne quelle legislative.
LA BAD PRACTICE
Il presidente della Giunta della Regione Calabria ha nominato di recente sette commissari pro tempore per altrettante aziende della salute (Asp, Ao e Aou) ove erano cessati i mandati dei direttori generali.
Si è ritenuto abilitato a ciò da una legge regionale del 2004 in attesa della pubblicazione del nuovo bando; dunque, in vista della nomina dei manager titolari da avvenire nel rispetto degli adempimenti propedeutici al provvedimento da adottare secondo la nuova disciplina sancita dal d.lgs.171/2016. Provvedimento (attuativo della riforma c.d. Madia volta a munire i sistemi della salute regionali di una governance aziendale ordinaria della durata di un triennio) disatteso in Calabria al punto da rendere l’avviso pubblico per la manifestazione di interesse (deliberazione G.R. n. 552 del 19 novembre 2018) palesemente illegittimo almeno per due ragioni: il difetto di previsione della commissione, secondo la composizione prevista, cui la norma le attribuisce le competenze istruttorie; la mancata previsione e pubblicazione dei relativi bandi per singole aziende e non già per la totalità delle stesse (7).
Ma la burocrazia calabrese ha consolidato l’abitudine di risultare inadeguata ai suoi compiti e di non aggiornarsi spesso neppure sui riferimenti normativi dai quali dipendono le condizioni di vita comune dei cittadini. Una burocrazia del tutto non competitiva e sorgiva di errori che denotano l’arretratezza culturale dell’apparato amministrativo (sintomatica la legge regionale n. 11/2004 che fa riferimento all’autonomia gestionale delle aziende della salute divenuta sin dal 1999 autonomia imprenditoriale).
Con le nomine dei commissari pro tempore (in attesa delle nomine dei direttori generali conseguenti alle procedure agonistiche per la scelta dei manager aziendali dei prossimi tre anni) la Giunta e il Presidente hanno esercitato prerogative ordinarie escluse dalla particolare condizione di commissariamento governativo, sostitutivo –questo- di tutte le funzioni giuntali di governo della sanità.
Un commissariamento, istituito ai sensi dell’art. 120, comma 2, della Costituzione, difficilmente definibile ad acta in quanto chiamato a sostituire il Governatore, l’Esecutivo e il Consiglio regionale, fatta eccezione che per l’esercizio del potere legislativo (Costituzione docet, non derogabile da chicchesia!). Tale sostituzione governativa è titolare non solo delle attribuzioni specificate nell’atto governativo di nomina, ma anche di tutti gli atti discrezionali finalizzati a riportare ad efficienza, efficacia ed economicità/utilità i servizi sanitari. In tale grave provvedimento che sospende l’autonomia regionale in tutte le sue funzioni (tranne la legislativa) v’è il giudizio di responsabilità delle istituzionali regionali per le gravi disfunzioni del sistema.
Commissariamenti delle sanità regionali con storie troppo lunghe nel Paese, quasi dieci anni per la Calabria e giù di lì per Campania e Molise, dopo avere interessato il Lazio (ancora sub judice) e l’Abruzzo. Tutte e cinque comprese tra le undici Regioni sottoposte a piani di rientro, ancorché per diverse ragioni (ripiano del debito pregresso e/o disavanzo) ed entità.
È da aggiungere che i provvedimenti ministeriali di nomina dei commissari sono andati al di là dei princìpi costituzionali e legislativi, per assumere erroneamente la sostanza di fonti primarie e consolidarsi in una prassi ministeriale altamente sospetta. Circostanza che in Calabria s’è ripetuta molte volte, così come avvenuto (seppure in proporzioni minori) anche in altre regioni, sebbene in condizioni istituzionali diverse. Infatti, in alcune regioni c’è stata (e c’è ancora nonostante l’andirivieni di leggi che ne sancivano la naturale incompatibilità) la coincidenza dei poteri straordinari del commissario nella persona del Governatore pro tempore.
L’ERRORE DI INTERPRETAZIONE
Le fonti che interessano la vicenda della nomina dei commissari ad acta nella sanità regionale sono:
– la Costituzione, art. 120, comma secondo, che recita «Il Governo può sostituirsi a organi della Regioni … omissis nel caso di mancato rispetto di norme e trattati internazionali oppure della normativa comunitaria oppure di pericolo grave per l’incolumità … omissis ovvero quando lo richiedano la tutela dell’unità giuridica o dell’unità economica e in particolare la tutela dei livelli essenziali delle prestazioni concernenti i diritti civili e sociali … omissis;
– la legge attuativa della revisione del 2001 del Titolo V, Parte II, della Carta, del 5 giugno 2003 n. 131 (la c.d. La Loggia), più esattamente all’art. 8 (comma 1), che prescrive: «Nei casi e per le finalità previsti dall’articolo 120, secondo comma, della Costituzione, il Presidente del Consiglio dei Ministri, su proposta del Ministro competente per materia …. omissis assegna all’ente interessato un congruo termine per adottare i provvedimenti dovuti o necessari; decorso inutilmente tale termine, il Consiglio dei ministri sentito … omissis adotta i provvedimenti necessari, anche normativi, ovvero nomina un apposito commissario. Alla riunione del Consiglio dei ministri partecipa il Presidente della Giunta regionale della Regione interessata al provvedimento.»;
– la legge 23 dicembre 2009 n. 191 (la legge finanziaria per l’anno 2010), ai commi nn. 66-105, che disciplina (integrata dalle leggi successive) la sanità regolata in via ordinaria, con particolare riferimento agli obblighi comunitari e alla realizzazione degli obiettivi di finanza pubblica. Siffatta legislazione si è occupata degli oneri dei servizi sanitari regionali per far sì che l’organizzazione funzionale sia più efficiente, fornisse una adeguata conoscenza dei risultati conseguiti, adottasse bilanci trasparenti e una corretta rappresentazione dei loro patrimoni, indicasse il concetto di standard dimensionale del disavanzo sanitario strutturale oltre il quale predisporre e presentare un apposito piano di rientro di durata massima triennale.
In presenza di patologie funzionali dei Ssr tali da non assicurare i Livelli essenziali di assistenza, e nei casi di impossibilità a risanare con l’esercizio ordinario delle Regioni tenute all’adempimento, ovverosia di conseguire un esito favorevole al ripianamento del disavanzo registrato a mezzo della condivisione di un apposito piano di rientro, il Consiglio dei Ministri è tenuto a nominare un commissario ad acta. Una figura oggi non più coincidente con quella del Governatore della Regione, giacché le rispettive posizioni sono rese incompatibili dopo un andirivieni di norme dalla ratio contraddittoria.
Questa indagine si completa con l’esame delle norme che regolano i poteri dei commissari ad acta e quelli regionali residuali.
Le competenze della Regione sono quelle scandite nelle leggi di dettaglio approvate in base ai principi fondamentali delle leggi dello Stato (almeno sino a quando non sarà attuato un regionalismo differenziato che muti radicalmente tutto ciò!), leggi intese a garantire a tutti i cittadini italiani i livelli essenziali di assistenza. Pertanto, in presenza di piano di rientro la Regione è tenuta alla puntuale attuazione e all’adozione di «tutti gli atti normativi, amministrativi, organizzativi e gestionali idonei a garantire il conseguimento degli obiettivi in esso previsti» (comma 83, art. 2, della vigente legge 191/2009).
Qualora la Regione è gravemente incapace di ottemperare al piano, l’Esecutivo nomina un commissario ad acta per tutta la durata del piano di rientro. Ad esso sono attribuiti tutti i poteri degli organi sostituiti allo scopo di adottare «tutte le misure indicate nel piano, nonché gli ulteriori atti e provvedimenti normativi, amministrativi, organizzativi e gestionali da esso implicati in quanto presupposti o comunque correlati e necessari alla completa attuazione del piano».
I problemi che si pongono al riguardo sono:
– il commissario ad acta può assumere provvedimenti di modifica, integrazione ovvero «rim[ozione]» di vigenti provvedimenti legislativi regionali? La questione sorge perché nei provvedimenti di nomina dei commissari sono ad essi assegnate funzioni legislative, diversamente da quanto è disposto dalla Costituzione nell’art. 117, comma primo;
– la nomina dei direttori generali delle aziende della salute della Regione commissariata spetta al commissario ad acta ovvero al Presidente della Regione commissariata quale potere residuale?
In relazione al primo quesito è da sottolineare che usualmente è assegnata dal Governo (che decide la sostituzione degli organi regionali ) al commissario la facoltà di «rimozione, ai sensi di quanto previsto dall’art. 2, comma 80, della legge n. 191 del 2009, dei provvedimenti, anche legislativi, adottati dagli organi regionali e i provvedimenti aziendali che siano di ostacolo alla piena attuazione del piano di rientro e dei successivi Programmi operativi, nonché in contrasto con la normativa vigente e con i pareri e le valutazioni espressi dai Tavoli tecnici di verifica e dai Ministeri affiancanti».
Una prescrizione governativa che risulta irragionevole in quanto contraria ai principi costituzionali. Un’attribuzione non ascrivibile al sostituto perché viziata da un’interpretazione estensiva errata dell’art. 2, comma 83, della legge 191/2009 nella parte in cui affida «… omissis gli ulteriori atti e provvedimenti normativi …. omissis …. da esso implicati in quanto presupposti o comunque correlati e necessari alla completa attuazione del piano». Tale interpretazione è intesa a includere gli atti legislativi e quelli regolamentari. Inclusione smentita dall’assenza di potestas legislativa assegnata ai commissari ad acta per via della esclusiva competenza dello Stato (da esercitarsi mediante il Parlamento ovvero, nei casi indicati dagli artt. 76/77 Cost., al Governo) e delle Regioni (attraverso i loro Consigli regionali), ove competenti ad emettere i regolamenti quali atti normativi di rango inferiori alle leggi o agli atti avente forza di legge.
Quanto al secondo interrogativo esso è complicato dal reiterato esercizio delle nomine da parte dei Presidenti delle Regioni (così come successo di recente in Calabria), e dall’ingiustificata tolleranza del Governo nazionale che non ha preteso l’esercizio di siffatto potere da parte dei commissari ad acta. La competenza di questi alle nomine del management delle aziende della salute è strumentale alla compiuta esigibilità dei Lea e all’equilibrio dei bilanci degli enti amministrati, obiettivi perseguiti dai piani di rientro.
Pertanto, è doveroso sottolineare che la lettera costituzionale e le sue leggi attuative assegnano il potere di nomina esclusivamente ai commissari ad acta. Infatti, la nomina del commissario governativo (disposta dal Governo a mente dell’art. 120, comma 2, della Costituzione e dell’art. 8 della legge cosiddetta La Loggia del 2013) implica due presupposti istituzionali. Il primo è la messa in pericolo della tutela dei livelli essenziali delle prestazioni (per la sanità i Lea) e la contemporanea precarietà dei bilanci. Il secondo è l’incapacità degli organi regionali di affrontare e risolvere il problema che essi stessi hanno generato.
Dunque la nomina del soggetto governativo è garante dell’unità giuridica e economica della Repubblica e della uniformità delle prestazioni salutari da rendere nel territorio regionale, privato dell’assistenza dovuta.
Le nomine dei direttori generali disposte dai presidenti delle regioni, quando non sono anche commissari governativi, sono da considerarsi interruttive della «catena di comando» che dal Governo discende alle aziende. Sono, infatti, i direttori delle aziende i garanti (attraverso l’esercizio dell’autonomia imprenditoriale) dei risultati economici ed erogativi, in quanto tali strettamente coinvolti nel progetto di risanamento insito nel piano di rientro.

*docenti UniCal e Fondazione TrasPArenza

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