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Il boss Tommaso Costa incastrato dal fratello per un omicidio di 30 anni fa

La Dda lo accusa di aver ucciso Vincenzo Figliomeni nell’ambito della faida esplosa a Siderno alla fine degli anni 80. Dai verbali del pentito nuovi scenari anche per il delitto Baggetta

Pubblicato il: 16/02/2019 – 9:33
Il boss Tommaso Costa incastrato dal fratello per un omicidio di 30 anni fa

REGGIO CALABRIA Al boss Tommaso Costa è stata notificata in cella – a seguito delle indagini condotte dalla Squadra mobile di Reggio su impulso della Dda di Reggio Calabria, guidata dal procuratore Giovanni Bombardieri – un’ordinanza di custodia cautelare in carcere emessa dal gip presso il Tribunale di Reggio Calabria, perché ritenuto il principale autore di un efferato omicidio avvenuto a Siderno durante la faida scoppiata tra le cosche Commisso e Costa, tra la fine degli anni 80 e gli inizi degli anni 90.
Secondo gli elementi acquisiti nel corso delle indagini – coordinate dal procuratore aggiunto Giuseppe Lombardo e dai sostituti procuratori Antonio De Bernardo (oggi in servizio alla Dda di Catanzaro) e Giovani Calamita – Costa avrebbe deciso, organizzato ed eseguito, in concorso con un soggetto deceduto, l’omicidio di Vincenzo Figliomeni, classe 1937, avvenuto a Siderno il 19 novembre 1988. Contro Figliomeni sono stati esplosi almeno tre colpi (di cui due andati a segno) di un fucile da caccia, caricato a pallettoni, che attinsero la vittima al capo, al tronco ed agli arti, provocando gravi lesioni del cervello e ai polmoni e l’immediata morte.

Tommaso Costa

Vincenzo Figliomeni, alias “brigante”, era il padre di Angelo e Cosimo Figliomeni, attualmente latitanti in Canada.
Nella stessa inchiesta è indagato anche Giuseppe Curciarello, non destinatario di misura cautelare, per l’omicidio di Domenico Baggetta, avvenuto a Siderno il 27 dicembre 1988.
L’omicidio contestato a Tommaso Costa si inserisce nell’ambito della violenta faida esplosa a Siderno tra la fine anni degli 80 e gli inizi degli anni 90 tra le cosche di ‘ndrangheta dei Commisso e dei Costa.
Durante il periodo della faida, la ‘ndrina dei Costa era guidata da Giuseppe Costa, il quale, anche dopo il suo arresto e successivamente alle sentenze di condanna avvenute in seguito al processo Siderno Group, ha continuato a far parte del sodalizio, impartendo direttive e ricevendo, all’interno del carcere, doti di ‘ndrangheta di livello provinciale, fino a quella del “quartino” nel 2007.
Giuseppe Costa ha iniziato a collaborare con la giustizia nel 2012 e le sue dichiarazioni – utilizzate anche in diverse inchieste che hanno portato alla sbarra esponenti di spicco della cosca Commisso (nelle inchieste “Crimine”, “Bene Comune-Recupero”, “Morsa sugli appalti”) – sono alla base della contestazione di omicidio formulata dai magistrati a carico di Tommaso Costa.
Giuseppe Costa

I verbali del collaboratore di giustizia, integrati dalle dichiarazioni di un altro collaboratore, ovvero, Crocefisso Casalini (autista del gruppo e coinvolto nelle azioni di fuoco), sono state oggetto di approfonditi riscontri effettuati dalla Squadra mobile, sotto le direttive della Dda di Reggio Calabria.
Storicamente, le famiglie criminali dei Costa, dei Curciarello, dei Commisso e dei Macrì, costituivano un gruppo unitario di ‘ndrangheta esistente a Siderno, il cui capo indiscusso era don Antonio Macrì, che per primo aveva allacciato rapporti con le persone emigrate da Siderno negli Stati Uniti, nel Canada ed in Australia.
Proprio durante la sua reggenza nacque il cosiddetto “Siderno Group of Crime”, ovvero quell’organizzazione criminale operante in Canada ed in Australia, che dipendeva direttamente dalla cosca madre di Siderno. Dopo l’omicidio di Macrì, avvenuto nel 1975, nel corso degli anni, prese il potere Cosimo Commisso (classe 1950), detto “u quagghia”, alla cui famiglia erano alleati i Costa, fino all’omicidio di Luciano Costa, fratello del collaboratore, ucciso dai Commisso il 21 gennaio 1987, per vendicare un furto di armi a casa di Cosimo Commisso.
Tale omicidio aprì la sanguinosa faida, in cui si inquadra l’uccisione di Vincenzo Figliomeni, legato al gruppo dei Commisso, in relazione al quale la Corte d’Assise d’Appello di Reggio Calabria assolse Giuseppe Costa, dopo la condanna comminata a quest’ultimo in primo grado.
L’omicidio avvenne la notte del 19 novembre 1988, davanti all’abitazione della vittima.
Il collaboratore di giustizia, nel corso degli interrogatori, ha attribuito al fratello un ruolo decisivo nell’omicidio, dichiarando che è stato eseguito in concorso tra Tommaso Costa e un altro soggetto (poi deceduto) affiliato con i Mazzaferro, entrambi, all’epoca, latitanti. Le sue affermazioni si basavano sulle confidenze ricevute proprio da quest’ultimo soggetto, qualche settimana dopo l’omicidio.
Il gip presso il Tribunale di Reggio Calabria, pertanto, ha ritenuto attendibili le dichiarazioni del collaboratore di giustizia, disponendo la misura della custodia cautelare in carcere nei confronti di Tommaso Costa: l’atto gli è stato notificato nel carcere di Viterbo, dove è attualmente detenuto.

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