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San Ferdinando, macerie (e soluzioni “elettorali”) dopo il rogo

Nel day after della tragedia che è costata la vita a un 29enne senegalese c’è chi cerca di ricostruire un rifugio, chi torna al lavoro nei campi. E mentre la Prefettura spinge per il trasferimento …

Pubblicato il: 17/02/2019 – 12:41
San Ferdinando, macerie (e soluzioni “elettorali”) dopo il rogo

SAN FERDINANDO A meno di un giorno e mezzo dall’incendio che si è portato via la vita del 29enne senegalese Moussa Ba, la tendopoli è risprofondata nella quotidiana routine della sopravvivenza. Dopo aver passato la notte nella nuova tendopoli o nel capanno di amici, chi nelle fiamme ha perso la baracca che chiamava casa sta già pensando se e come ricostruirla, altri hanno già iniziato a riparare quelle che il fuoco ha danneggiato, mentre anche di domenica, chi può è andato a lavorare. Sul luogo della tragedia non c’è più neanche la bandiera della Cgil, che qualcuno ieri aveva legato all’arrivo del sindacato, che ieri si è presentato in forze al ghetto.

VERSO UNA MANIFESTAZIONE NAZIONALE? C’erano i responsabili locali, il segretario regionale Angelo Sposato e persino Giovanni Mininni della segreteria nazionale. Da tempo seguono la tendopoli e all’ennesima morte insensata hanno deciso di reagire. Si sta pensando ad una manifestazione nazionale da far sfilare per le strade di Reggio Calabria, fino alle porte della Prefettura. Forse già per sabato prossimo. «Lo stiamo valutando – dice Mininni – bisogna capire se è fattibile». Ieri un breve e non partecipatissimo corteo è partito dalla tendopoli per spegnersi già prima dello svincolo.

CORTEO, ANZI NO Era stato organizzato in fretta come «momento di dolore e fratellanza» e – si è stabilito prima in una breve assemblea – occasione per chiedere alle istituzioni soluzioni, ma il buio è calato in fretta e con lui la prospettiva di cinque chilometri a piedi lungo una strada dove spesso ci sono state e ci sono aggressioni ai “niri”. «Meglio organizzare bene la manifestazione nazionale a Reggio, quando a dare man forte arriverà gente da tutta la Calabria e dall’Italia» hanno spiegato ieri i funzionari del sindacato che si erano messi in marcia. E le bandiere sono state messe via, insieme ai propositi di arrivare in Comune.

SOLUZIONI D’EMERGENZA Nel frattempo, poco distante, di fronte alle telecamere convocate dalla Prefettura e ai flash dei fotografi è partito il pulmino che ieri sera ha accompagnato 15 braccianti in due Sprar della provincia, a Gioiosa Ionica e a Mileto. Altri 50 dovrebbero essere trasferiti in giornata nei Cas. In ambienti istituzionali, alcuni la considerano una vittoria, ma sono pochi, pochissimi sui più di 1500 che vivono fra il ghetto, la “nuova” tendopoli, messa in piedi dalla prefettura due anni fa, e la “nuovissima”, quelle tende blu ministeriale piantate nel fango fra la nuova e la vecchia. Nel settembre scorso, quando un capannone abbandonato, che i braccianti avevano individuato come rifugio, è stato dissequestrato dovevano ospitare «temporaneamente» chi si era ritrovato senza un tetto. Ma sono rimaste lì e alle trenta iniziali, per decisione prefettizia ne sono state aggiunte altre dopo ogni incendio che quest’anno ha devastato il ghetto.

AL LAVORO SULL’INTEGRAZIONE ABITATIVA Sono tutte soluzioni nate come emergenziali, ma che sono diventate permanenti, a dispetto dei tavoli istituzionali e dei protocolli sui piani di accoglienza diffusa. Tutto è rimasto al palo, sebbene negli ultimi mesi, accogliendo le istanze dell’Usb, la Regione abbia deciso di accelerare sull’integrazione abitativa. Per superare le diffidenze del territorio, si è pensato e si è iniziato a lavorare a un’agenzia di intermediazione fra braccianti e locatari, e persino un fondo regionale a garanzia di questi ultimi, si è dato il via al censimento dei beni confiscati che possano essere utilizzati per ospitare i migranti ed è stato chiesto al Comune di fare un monitoraggio sulle strutture eventualmente disponibili.

TRASFERIMENTO IN SPAR E CAS Nel frattempo la Prefettura, sostenuta da parte della Cgil, spinge per il trasferimento degli aventi diritto in Sprar e Cas. Tuttavia sugli oltre 1500 presenti sono meno della metà e spesso preferiscono rinunciare. Le strutture sono spesso lontane dai campi e il trasferimento lì non permetterebbe loro di lavorare. In più, si tratta sempre di soluzioni temporanee, perché la permanenza nel circuito dell’accoglienza è di massimo sei mesi. Ma l’offerta della Prefettura si sta trasformando in un aut-aut, prodromico allo sgombero annunciato da Salvini. O almeno così la sta interpretando il Viminale, che ieri ha fatto circolare un messaggio.

NUMERI ALLA MANO «Nell’area di San Ferdinando – hanno sussurrato ieri alle agenzie “fonti del ministero dell’Interno” –  ci sono 1.592 persone. Gli aventi diritto al Siproimi (ex Sprar) sono 80, i richiedenti asilo 669. Di questi ultimi, 366 possono già essere collocati in centri di accoglienza (Cas o Centri governativi). Al momento solo 15 immigrati hanno accettato di accedere ai progetti Siproimi e su 180 stranieri contattati per i Cas hanno espresso disponibilità ad essere ricollocati solo 73. Sono in corso ulteriori accertamenti sullo status degli altri stranieri presenti nell’area. Al termine delle verifiche e dei ricollocamenti, si provvederà allo sgombero».

SGOMBERO ELETTORALE Un messaggio che ha il sapore di un ultimatum, ma non tiene conto delle altre 843 persone che non avrebbero diritto a entrare nel circuito dell’accoglienza, né di quelle che sognano una casa come tutti, da affittare regolarmente come tutti, ma a cui non riescono ad accedere per quella “diffidenza territoriale” che la baraccopoli ha esacerbato. «La soluzione c’è, le case pure, ma evidentemente – tuona l’Usb –  si avvicinano le Europee e c’è chi vuol fare campagna elettorale sulla pelle della gente».

Alessia Candito
a.candito@corrierecal.it

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