Gli uomini della Lega dimostrano di non riuscire a tenere a bada i freni inibitori e si lasciano andare soprattutto quando nel loro obiettivo c’è il Sud e possono manifestare tutto il loro livore contro. Quello del ministro della Pubblica Istruzione ha superato ogni limite e, pertanto, non può essere sottaciuto. Esso, infatti, non è soltanto grave, ma inaudito. Senza precedenti per un uomo di governo che, obtorto collo, rappresenta anche questa, per lui fastidiosa, parte dell’Italia.
Sarebbe da biasimare chiunque l’avesse pronunciata, lo è di più perché uscita dalla bocca di una persona scelta per governare l’Istruzione, non solo quella delle “valli” leghiste, ma dell’Italia intera, quindi anche del “famigerato” Sud che lavora poco e male e dove la Scuola è da considerare, secondo lui, di secondo livello.
Le cronache hanno etichettato la dichiarazione di Marco Bussetti (si chiama così l’oscuro ministro dell’Istruzione) come «inopportuna» e tale rimane anche dopo la replica del ministro leghista che, a distanza di ore, è ritornato sull’argomento con un laconico «non volevo dirlo».
Intanto l’ha fatta e l’ha resa ancora più grave con la precisazione postuma affidata ai mezzi d’informazione. Ancora una volta non si è reso conto che un ministro non può dire cose che non avrebbe «voluto dire», specie se sta disquisendo di un settore del quale è responsabile. Ha cercato di far credere che la parola avrebbe tradito il pensiero (sic!). Ancora più incredibile. Inammissibile per il responsabile dell’Istruzione che, pur di trovare una giustificazione, non ha esitato ad ammettere di avere detto il contrario di ciò che pensava. (Sic).
La vicenda è deflagrata in tutto il Paese e soprattutto negli ambienti scolastici, in quelli sindacali e nelle famiglie del Sud. Tutti chiedono, a giusta ragione, provvedimenti urgenti a difesa del lavoro e dell’impegno professionale degli operatori scolastici interessati, nelle regioni del Mezzogiorno, a tenere alte le tradizioni della buona scuola nonostante le mille difficoltà che si riscontrano a cominciare da quella dell’obbligo per finire all’università. Un ministro avrebbe dovuto sapere che al Sud lo Stato è sempre stato assente o, comunque, non presente come nelle regioni del Nord; che non si è mai preoccupato di eliminare le disuguaglianze tra quella e questa parte dello Stivale; che alle nostre latitudini la maggior parte dei plessi scolastici è in pessime condizioni, spesso anche costretta in strutture, talvolta persino fatiscenti e senza sicurezza. Un ministro dell’Istruzione avrebbe dovuto essere consapevole di tutto questo e impegnarsi semmai a colmare le differenze piuttosto che etichettare la nostra Scuola come di “secondo livello”. Avendolo fatto ha dimostrato di ignorare la realtà e di non avere la dovuta conoscenza complessiva come, invece, sarebbe obbligo per l’uomo che nel Paese rappresenta la Scuola. Grave, molto grave per un ministro. E nonostante tutto si è lasciato andare in anatemi sulle comunità scolastiche del Mezzogiorno.
Ecco perché l’accaduto non può essere facilmente digerito dalle popolazioni meridionali. Tanto più che su quelle parole pesa il sospetto che possano essere state influenzate dal progetto leghista dell’“autonomia differenziata” dentro cui è previsto che non sia più il Governo, ma la Regione a controllare l’istruzione, compresi i docenti e il personale non insegnante, con la possibilità di fissare nuovi parametri retributivi, ovviamente più o meno remunerativi a seconda della zona.
È vero che l’autonomia, chiesta da Lombardia, Veneto ed Emilia Romagna, è contenuta nella Costituzione della Repubblica, ma quando fu redatta la “Carta” si pensava ad un Paese coeso, di uguali! Giammai una realtà così diversa come quella attuale che contempla territori ricchi e altri poveri. Quell’autonomia viene sollecitata da tre regioni con un tasso di benessere elevato, frutto oltre che dall’essere amministrate bene, anche dall’aver potuto godere di consistenti aiuti di Stato che, invece, non sono stati mai possibili per la realizzazione di grandi opere nel Mezzogiorno, disamministrato a causa di un sistema connivente che ha consentito che venissero distratte, o comunque non utilizzate e quindi restituite, le somme per opere mai realizzate.
Il Ponte sullo Stretto di Messina, il cui progetto è vecchio di circa ottanta anni, che avrebbe aiutato le economie di due grandi regioni a crescere, è stato boicottato fino ad essere cancellato dalle priorità del Paese perché considerato un’opera inutile. Oggi, invece, si parla di TAV nonostante i risultati dell’esame “costi-benefici” dicano di non realizzarlo. Ma interessa al Nord, dove i gruppi di pressione riescono ad influenzare le istituzioni sempre pronti ad ubbidire ai detentori del grande capitale.
Il sospetto è che “l’autonomia differenziata” sia un pretesto, il primo passo per rafforzare la divisione del Paese in modo da farla finita con il “regionalismo equo e solidale”. Anche questo giustifica la rivolta della Scuola; che presidi, insegnanti, studenti, personale non insegnante e sindacati dissentano con forza dalla “trovata” del ministro dell’Istruzione, il quale dovrebbe responsabilmente lasciare l’incarico considerato che da Roma in giù non gli viene riconosciuta più la credibilità di cui ha bisogno. Né sono sufficienti le scuse; purtroppo per lui, e per chi gliele ha suggerite, esse non hanno la forza per cancellare le parole. Il fatto rimane in tutta la sua deplorevole portata e pesa sul Governo. Il ministro Bussetti ha reso pubblico il suo pregiudizio, gratuito, sulla Scuola del Sud dimostrando di non essere a conoscenza dell’impegno e del sacrificio del personale scolastico, degli studenti e delle famiglie. È giusto pertanto che ne paghi le conseguenze.
*giornalista
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