REGGIO CALABRIA Se la ‘ndrangheta ha messo le mani sugli appalti della Salerno-Reggio Calabria sarebbe stato anche grazie all’ex ministro Claudio Scajola. Parola di Cosimo Virgiglio, ex uomo di fiducia dei Molè e massone di rango che il “mondo” in cui quegli accordi sono stati discussi e mediati lo ha vissuto per anni da protagonista. «Era il 2005 più o meno, stavano facendo i lavori per l’ammodernamento per l’autostrada e le famiglie della Tirrenica non volevano scontri», racconta il pentito, ascoltato oggi come testimone a Reggio al processo che vede Scajola imputato con l’accusa di aver aiutato l’ex parlamentare di Forza Italia Amedeo Matacena a sfuggire ad una condanna definitiva per concorso esterno in associazione mafiosa e ad occultare il suo immenso patrimonio. «A loro – sottolinea – non piaceva fare danneggiamenti e attentati perché attiravano l’attenzione delle forze dell’ordine».
ACCORDO DI SISTEMA Per questo, spiega Virgiglio rispondendo alle domande del procuratore aggiunto Giuseppe Lombardo, hanno tentato la strada dell’accordo previo. E la sede di discussione era quel “sistema Ugolini” di cui il pentito faceva parte e che per anni avrebbe lavorato come una sorta di Stato parallelo (ve ne abbiamo parlato qui) in grado di determinare l’evoluzione politica, economica e sociale dell’Italia. «C’era il gotha del potere», spiega il pentito. E con quel mondo la ‘ndrangheta aveva rapporti solidi e strutturati, cementati da comuni interessi e complementari esigenze. Ecco perché quando i Molè subodorano il business in arrivo – all’epoca Impregilo si preparava anche all’affare del Ponte sullo Stretto – mandano un loro uomo a discutere con Giacomo Maria Ugolini, ambasciatore di San Marino e capo di quel sistema massonico, determinante in Italia ma con coperture e lavatrici in Vaticano. L’uomo cui i Molè delegano la trattativa – dice Virgiglio – è Carmelo Cedro.
L’UOMO DEI MOLÈ «Si tratta di un imprenditore, nel settore della costruzione dei biliardi e dell’affitto delle macchinette da gioco. Lui e la sua famiglia, suo padre in particolare, sono stati sempre vicini ai Molè anche per legami di parentela. Erano le persone di fiducia per determinate situazioni, anche perché avevano molte amicizie nelle forze dell’ordine», afferma il pentito. In più, rammenta, «erano molto attivi in politica. Stavano in Forza Italia ma stavano anche fondando un proprio partito. Avevano rapporti con Mario Tassone, Chiaravalloti». Insomma, per la ‘ndrangheta avevano un profilo più che utile. E poi – aggiunge – «Carmelo Cedro da sempre scalpitava per entrare nei templari». All’ordine cavalleresco di cui Virgiglio era espressione Cedro non è mai riuscito ad arrivare, spiega il pentito, ma anche grazie ai Molè è riuscito ad inserirsi nell’ambiente in cui gli uomini del “sistema Ugolini” bazzicavano. «Appena i Cedro si sono trasferiti a Roma, Rocco Molè mi dice di aiutarli a stabilizzarsi a livello imprenditoriale. Quell’anno il campionato nazionale di biliardo si fece a Villa Vecchia e i biliardi li misero i Cedro. Loro avevano a iniziato ad entrare nel sistema Ugolini», ricorda.
LA TRATTATIVA È per questo che, quando Impregilo si aggiudica gli appalti e si prepara a dare il via ai lavori in Calabria, i Molè sanno a chi rivolgersi. E hanno l’uomo giusto per farlo. «Cedro chiese di intervenire a Ugolini, che scese in Calabria per una riunione durante la quale venne discussa l’intera questione. E Ugolini alla fine gli disse “ti mando dal ministro dell’Interno” e andò da Scajola». Lui – aggiunge – «per Ugolini era uno che sapeva muoversi con Impregilo». E a detta di Cedro, sottolinea il pentito, quegli incontri con l’allora ministro si sarebbero realizzati davvero. «Un giorno l’ho chiamato e mi ha detto che era in viaggio. Mi fa “sto andando da Claudio”», aggiunge. Ulteriori prove non ne ha, ma agli inquirenti suggerisce come verificare le sue parole. «Cedro all’epoca aveva una macchina particolare, una coupè». E poi, aggiunge, «Rocco in quel periodo era contento perché era riuscito a entrare nei lavori dell’autostrada».
ALL’OMBRA DEL GREMBIULE Tutte confidenze che l’imprenditore dei clan della Piana all’epoca gli faceva perché «eravamo nello stesso gruppo paramassonico». Un ambiente che anche all’allora ministro Scajola non sarebbe risultato per nulla estraneo. Al contrario, per Virgiglio ne avrebbe fatto parte a tutti gli effetti. «L’ho visto io stesso – afferma il pentito – era presente anche lui ad una tornata a San Marino. Era un incontro rituale di iniziazione, era un penta, si dovevano iniziare cinque adepti. C’era un medico di Africo, e altri. Mentre stava iniziando il rituale due persone sono arrivate in ritardo e stavano entrando in sala mentre cercavano ancora di mettere i paramenti. Uno era Marino Menicucci, comandante reggente (l’equivalente del primo ministro, ndr) di San Marino, l’altro era Scajola».
«TUTTE BUGIE» L’ex ministro e attuale sindaco di Imperia ascolta, quasi imperturbabile. Solo qualche smorfia gli attraversa il viso, irrigidito in una maschera di fastidio. Ma non dice una parola. Solo quando i problemi di collegamento con il sito protetto determinano l’interruzione dell’esame del pentito, che proseguirà alla prossima udienza insieme al controesame, Scajola chiede e ottiene la parola. Nega di aver fatto parte della massoneria, di aver avuto a che fare con Cedro, di essere intervenuto nella gestione degli appalti calabresi. «Non ero ministro delle Infrastrutture, ma delle Attività produttive, non era nelle mie competenze interessarmi del ponte sullo Stretto o di qualunque altro lavoro pubblico», dice, quasi scandendo le parole. «Se qualcuno avesse dovuto agevolare quel percorso, mi pare ovvio che si sarebbe servito di chi quelle competenze aveva. Devo altresì dire che Impregilo non è stata mai nelle mie conoscenze e nelle mie frequentazioni».
RABBIA CATTIVA CONSIGLIERA? E si dice convinto: «Dalle carte emerge che non ho mai incontrato nessuno a casa mia». Questione «di riservatezza mia e di mia moglie», sostiene. Ma quello che sembra maggiormente infastidirlo è il racconto della sua partecipazione alla riservatissima tornata massonica a San Marino. «Sono cose contrarie alla mia storia e spero possano essere perseguite come falsità, date in mano ai media tramite questo processo. È una vergogna perché finisce sulle pagine dei giornali e io sono quattro anni che aspetto giustizia», quasi grida, battendo la mano sul banco dei testimoni. Un cedimento a rabbia e nervosismo assai curioso per Scajola che ha seguito con invidiabile aplomb l’intero processo e ribattuto con toni quasi blasé alle più gravi accuse. L’ex ministro se ne rende conto, chiede scusa e torna ai consueti registri volutamente pacati. Il procuratore aggiunto ascolta, la polizia giudiziaria in aula osserva e registra. E Virgiglio deve ancora finire di parlare.
Alessia Candito
a.candito@corrierecal.it
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