CATANZARO Erano pronti a costituirsi parte civile la Camera penale di Lamezia Terme e i familiari di Francesco Pagliuso – avvocato penalista quarantenne assassinato con tre colpi di pistola la sera del 9 agosto 2016 appena rientrato a casa – nel procedimento a carico di un altro penalista di Lamezia Terme, Antonio Larussa. A meno di 48 ore dall’udienza preliminare che ha mandato a processo Marco Gallo, 33 anni, colui che la Dda ritiene essere l’uomo che ha premuto il grilletto per conto della cosca Scalise di Decollatura (i cui vertici sono accusati di essere mandanti dell’omicidio Pagliuso), era stata fissata l’udienza preliminare nei confronti dell’avvocato Antonio Larussa, 43 anni, e della sua assistente di studio Tullia Pallone. L’udienza è stata rinviata al 16 maggio, per un impedimento dei difensori degli imputati, ma la moglie dell’avvocato Pagliuso, le sorelle con i mariti, i genitori, e la camera penale di Lamezia, con gli avvocati Nunzio Raimondi, Salvatore Staiano, Bonaventura Candido e Marcello Manna, erano pronti a consegnare le richieste di costituzione di parte civile. Assente, in questa occasione, l’ordine degli avvocati di Lamezia Terme che si è invece costituto parte civile nel corso dell’udienza preliminare contro Marco Gallo.
Assente anche il ministero della Giustizia, che la Procura di Catanzaro individua tra le parti offese.
LE ACCUSE L’avvocato Larussa è accusato di favoreggiamento personale perché avrebbe favorito la latitanza di Daniele Scalise, elemento di spicco della cosca che si stava sottraendo a un provvedimento di esecuzione della pena emessa dalla Corte d’appello di Catanzaro per estorsione, lesioni e resistenza a pubblico ufficiale. Daniele Scalise (vittima di un agguato nel 2014) è stato latitante dal 17 marzo 2012 al 20 marzo 2013. Secondo l’accusa, il 13 marzo 2012 Larussa lo avrebbe «aiutato a sottrarsi alle ricerche dell’autorità giudiziaria accogliendolo peraltro nel proprio studio legale in più occasioni e in particolare in una in cui aveva convocato anche il collega Francesco Pagliuso che abbandonò contrariato lo studio del collega una volta resosi conto che lo Scalise non si trovava presso lo studio legale del Larussa per costituirsi alle forze dell’ordine». Il reato contestato è aggravato dalle modalità mafiose perché l’imputato avrebbe agevolato le attività della ‘ndrina degli Scalise.
VIOLENZA PRIVATA Ma l’accusa più pesante è quella della violenza privata, anche questa aggravata dalle modalità mafiose. Secondo la Dda di Catanzaro – rappresentata in aula dal pm Elio Romano – l’avvocato Larussa «(in concorso morale con soggetti che devono essere compiutamente individuati ed identificati, tra cui certamente vi erano i deceduti Daniele Scalise, Giovanni Vescio, Francesco Iannazzo, tutti uccisi nella faida ‘ndranghetistica che ha interessato le ‘ndrine insistenti nelle zone montane circostanti Lamezia Terme, quali Soveria Mannelli e Decollatura), in qualità di istigatore nella fase dell’ideazione del delitto», avrebbe prospettato, allo Scalise e ai suoi compagni, scarso impegno da parte dell’avvocato Francesco Pagliuso ed errori nella linea difensiva nell’ambito di un processo che vedeva Daniele Scalise imputato a Cosenza per truffa. Inoltre avrebbe prospettato la mancata consegna delle carte procedurali dell’avvocato Pagliuso a Larussa, che nel frattempo era stato nominato co-difensore di Daniele Scalise. Questo atteggiamento avrebbe scatenato una serie di conseguenze di cui sarebbe stato vittima l’avvocato Pagliuso costretto «con violenza e minaccia di morte a mano armata, da parte di più persone riunite (tra cui Daniele Scalise, Giovanni Vescio, Francesco Iannazzo, ndr) a seguire la linea difensiva prospettata dai suddetti soggetti, ad accettare o tollerare la co-difesa con l’avvocato Larussa» e a fare quello che la cosca gli imponeva dopo averlo incappucciato, portato in un bosco, malmenato e trascinato di fronte a una buca scavata con un mezzo meccanico, «il tutto accompagnato dalla minaccia di essere scaraventato all’interno di quella buca, in modo tale che il corpo non sarebbe più stato ritrovato».
L’ASSISTENTE DI STUDIO Secondo l’accusa, dopo l’episodio dell’incontro in studio con il latitante Daniele Scalise, l’assistente dell’avvocato Larussa, Tullia Pallone, avrebbe aiutato Larussa a eludete le investigazioni «riferendo circostanze non veritiere in taluni casi e reticenti in altri casi, oltre che intrinsecamente contraddittorie». Avrebbe detto di non esser a conoscenza del fatto che Daniele Scalise sia stato latitante. Inoltre avrebbe affermato di ricordare che Scalise si presentava in studio spesso sempre nel tardo pomeriggio, qualche volta insieme alla sua famiglia. Ma l’avvocatessa non avrebbe saputo specificare in quale periodo questa visite siano avvenute, visto che non era a conoscenza della latitanza di Scalise. Non ricorda un incontro nello studio Larussa insieme all’avvocato Pagliuso e agli avvocati De Sensi e Colafati, in cui vi fosse stato un diverbio. I due legali indagati sono difesi dagli avvocati Francesco Gambardella e Giuseppe Spinelli.
Alessia Truzzolillo
a.truzzolillo@corrierecal.it
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