COSENZA «Insieme a me altre 40mila persone sanno che l’onorevole Sandro Principe è una figura preminente nella città di Rende». Un colpo di fioretto per levarsi di dosso il peso di un’esperienza amministrativa naufragata in soli due anni. Vittorio Cavalcanti, è stato sindaco della città sul Campagnano, ma prima ancora è stato amico e collega di lavoro di Sandro Principe tanto da avviare uno studio legale come associati. Affari e politica, due strade che sono proseguite parallele per poi confluire nella grande carreggiata con destinazione le elezioni amministrative del 2011. «Ho accettato la proposta che mi fecero perché ero forte di una coalizione plurale – spiega Cavalcanti –. C’erano due onorevoli a mio sostegno, Sandro Principe e Mimmo Talarico, e io pensavo di poter agire in autonomia». Violati i patti politici però, oggi, Cavalcanti è al banco dei testimoni. Uomo chiave della lista redatta dal pubblico ministero Pierpaolo Bruni, capo della procura di Paola, ma nel 2016 titolare del fascicolo d’inchiesta “Sistema Rende” come procuratore aggiunto della Dda di Catanzaro. Ha ottenuto il rinvio a giudizio per l’ex assessore provinciale e comunale Pietro Ruffolo, per Principe e per l’ex sindaco Umberto Bernaudo che rispondo dei reati di corruzione aggravata in atti amministrativi e concorso esterno in associazione mafiosa, mentre l’ex consigliere e assessore comunale Giuseppe Gagliardi è accusato del reato di corruzione elettorale.
AUTONOMIA DEL SINDACO Cinque ore di udienza, molta politica e tanti episodi per spiegare le strategie amministrative. «Mi resi subito conto che la possibilità di agire in autonomia durò ben poco dopo la mia elezione – risponde Cavalcanti al pm –. Già dopo dieci giorni dall’insediamento sulle scelte della giunta, Principe mi pose un veto dicendomi che avevo la prerogativa di nominare assessore chi volessi ma che allo stesso tempo poteva venire meno la fiducia del Pd». Il capogruppo dei democratici in seno all’assise rendese era proprio Principe che nella sua attività di amministratore, secondo Cavalcanti, andò ben oltre quanto consentitogli. «Mi rendevo conto – prosegue – che alcune mie richieste venivano ignorate dai dirigenti, quelle dell’onorevole erano invece prese in considerazione. Io quindi mi dimisi, il contrasto da un punto di vista politico e amministrativo era troppo evidente». E il rapporto tra i due, riferisce il sindaco di Rende dal 2011 al 2013, si sfalda completamente dopo nomina di Ernesto Lupinacci come dirigente. «Pensavo di essere sganciato dalle “logiche rendesi” e di poter prendere delle decisioni amministrative. Principe è stato sempre il dominus politico e amministrativo e quando decisi di nominare Lupinacci come dirigente lui era contrario al punto che fece anche un’interrogazione come capogruppo. Guidava la mia maggioranza e da loro stessi temevo la sfiducia». Ma prima di arrivare alle dimissioni si sarebbero consumati altri retroscena. «Mi proposero delle soluzioni amministrative illegittime per risolvere delle controversie con delle ditte che avanzavano dei crediti nei confronti del comune – dice Cavalcanti –. L’obiettivo era di fare una sanatoria, riconoscendo dei debiti fuori bilancio, a delle ditte che avevano lavorato al Comune ma io chiesi una perizia per capire se si poteva fare e me lo sconsigliarono. Mi rifiutai e poi si tenne una riunione di maggioranza dove Principe parlò per oltre un’ora e da quello che disse capii che non avevo più la fiducia».
IL BAR IN MANO ALLA CRIMINALITÀ Adolfo D’Ambrosio è uomo noto alla giustizia calabrese, già in carcere detenuto al 41bis. Sua moglie ha partecipato al bando per l’assegnazione del bar di proprietà comunale e l’ha ottenuto essendo l’unica partecipante. «Venni a sapere del bar Colibrì solo quando tutto il lavoro di indagine degli inquirenti venne reso noto – spiega Cavalcanti – mi informai per tramite della dirigente responsabile del procedimento che era stata fatta una compensazione credito-debito voluta dal sindaco Bernaudo. Che io ricordi non era mai stato pagato il canone». Cavalcanti aveva avanzato l’intimazione di sfratto e l’unica ripercussione, riferisce in udienza, è stata quella di aver incontrato un signore anziano all’uscita del suo studio che gli inveiva contro, si trattava del padre di D’Ambrosio. Tutto qui quello che Cavalcanti ha da dire sul bar gestito da D’Ambrosio ed è telegrafico anche nel rispondere alla domanda del pm Bruni sul ruolo di “Ricciolino”. «Chiamavano così Emilio Giglio – spiega Cavalcanti –. Ho sentito di una persone che per prendere una concessione a Rende pagò a lui 100 milioni. Era una sorta di mediatore dell’onorevole Principe e constatai la loro amicizia partecipando insieme a loro a una cena».
L’ALTRA FACCIA DELLA LUNA «Non ho avuto segnalazioni di natura sospetta, non ho avuto pressioni da gruppi delinquenziali e nessuno è venuto a impormi cose sulla base di accordi con Principe». Questa è l’altra faccia della luna: l’ex sindaco Cavalcanti che risponde alle domande di Franco Sammarco, legale di Sandro Principe. «Sì, è vero, ho avuto degli incarichi al comune di Rende come avvocato e avevo accumulato un credito di 125mila euro – spiega Cavalcanti –. Ma i miei rapporti con Principe non mi hanno reso ingranaggio delle “logiche rendesi” che ritengo siano relative alla influenza che Principe riusciva ad esercitare a livello amministrativo». Un ghigno dell’avvocato palesa la sua contrarietà ma il testimone non ritratta ed impassibile rimane davanti al microfono. Conferma la sua versione dei fatti anche rispondendo alle domande dell’avvocato Calabrò, difensore dell’ex sindaco Bernaudo, in carica proprio quando viene autorizzata la compensazione debito-credito.
«LA MIA RENDE» L’audizione di Vittorio Cavalcanti riapre la dialettica di un confronto politico con Sandro Principe mai del tutto chiarito. Una occasione ghiotta da non lasciarsi sfuggire per il socialista figlio di Cecchino. È imputato e vuole rendere spontanee dichiarazioni. «Ho sentito parlare solo di politica e mi ha turbato molto che avvenga qui». Nell’aula 9 del tribunale di Cosenza per qualche minuto smette di arrivare anche la caciara delle chiacchiere nel corridoio. «Si è tentato di dare una immagine di una attività amministrativa che ha lasciato solo problemi finanziari e non si è detto come si sia costruito una città dal nulla. In questi anni a fronte dei 9 milioni di euro di debiti fuori bilancio sono stati avanzati lavori per oltre 1 miliardo di euro e mi sento umiliato che si discuta della concessione del bar Colibrì con un sistema da annullare quando con lo stesso metodo è stata assegnata la metro Cosenza-Rende-Unical. Volevo fare l’approvazione dei debiti fuori bilancio in sanatoria – dice Sandro Principe – solo per far risparmiare qualcosa all’ente ed evitare che le ditte che avevano lavorato per il Comune facessero causa. Sulla nomina di Lupinacci a dirigente non ho fatto nessuna pressione ma solo una interrogazione da capogruppo». A fine udienza ha reso dichiarazioni spontanee anche Pietro Ruffolo. Cavalcanti aveva raccontato di aver respinto la sua candidatura visto il coinvolgimento dell’ex assessore in vicende giudiziarie. «Fu una ingiustizia – dice alla corte Ruffolo –. Venni assolto in primo grado e la Procura decise di non ricorrere in Appello. L’avvocato Cavalcanti mi disse che non dovevo candidarmi ma non disdegnò il mio appoggio in campagna elettorale».
Michele Presta
m.presta@corrierecal.it
x
x