LAMEZIA TERME Si avvia verso la conclusione il processo che si sta celebrando con rito ordinario davanti al Tribunale di Lamezia Terme, presieduto da Maria Teresa Carè, nei confronti degli imprenditori Antonio Gallo (difeso dall’avvocato Aldo Ferraro) e Francesco Cianflone (difeso dagli avvocati Stefano Nimpo e Gregorio Viscomi), che la Procura distrettuale antimafia di Catanzaro ritiene essere intranei alla cosca Giampà di Lamezia Terme per essere stati sistematicamente imposti quali imprese di riferimento nei settori degli impianti elettrici, il primo, e della fornitura di calcestruzzo il secondo. Alla scorsa udienza il sostituto procuratore della Dda Elio Romano ha chiesto l’acquisizione del filmato del matrimonio di Giuseppe Giampà, capo dell’omonima cosca ed ora collaboratore di giustizia, per dimostrare che tra gli invitati vi era anche Antonio Gallo. All’udienza di oggi la difesa di Gallo ha chiesto ed ottenuto che fosse sentito un nuovo testimone – Domenico Mastroianni, altro socio nell’impresa di Gallo – e che fosse esaminato nuovamente lo stesso imputato sullo specifico tema di prova introdotto dalla Procura. È dunque emerso che l’imprenditore Antonio Gallo aveva partecipato a quel matrimonio, ma che insieme a lui vi erano altri 150 imprenditori ciascuno dei quali avrebbe “donato” agli sposi una busta con 500 euro: «Per me è stata una vera e propria estorsione – ha detto Gallo – visto che se ti invita uno come Giuseppe Giampà non ti puoi rifiutare di andare. Con il mio socio avevamo deciso di non andare a quel matrimonio conoscendo la reputazione criminale di Giuseppe Giampà, ma poi ci siamo confrontati con gli altri imprenditori, anche loro invitati, e poiché saremmo rimasti gli unici a declinare l’invito, abbiamo deciso di andare anche noi e di regalare 500 euro come gli altri».
L’avvocato Ferraro ha poi fatto vedere all’imputato ed al testimone le immagini del ricevimento estrapolate dal video depositato dal pm, e sono così emersi i nomi di tutti gli imprenditori che, insieme ad Antonio Gallo, hanno preso parte a quel ricevimento. «Ci siamo seduti allo stesso tavolo io, il mio socio Domenico Mastroianni, Francesco Palazzo che ha un ingrosso di bibite, ed i fratelli Raso che gestiscono un ingrosso a Sant’Eufemia, uno dei quali è purtroppo tragicamente deceduto, e questo per evitare che potessimo capitare allo stesso tavolo con soggetti poco raccomandabili. Oltre a noi vi erano Pino Barbera e Giuseppe Barbera, che gestiscono altrettanti negozi di abbigliamento, Claudio Cittadino, Pietro e Francesco Giampà titolare di un bar e di un forno su via del Progresso, Claudio Cittadino che realizza infissi, Antonio Gallo che gestisce locali notturni sul litorale lametino, Aldo Roperto che gestisce un negozio di autoricambi, Torcasio Pasqualino che gestisce un ristorante, ed altri», ha raccontato Gallo.
All’esito dell’esame, l’avvocato Ferraro ha quindi prodotto alcuni atti giudiziari con l’intento di dimostrare che proprio quegli imprenditori, nello stesso periodo in cui parteciparono al matrimonio di Giuseppe Giampà, erano sottoposti ad estorsione da parte della cosca Giampà e, più specificamente, dello sposo Giuseppe Giampà. La tesi della difesa tende dunque a dimostrare che la partecipazione a quel ricevimento non significava che i partecipanti fossero intranei alla cosca, ma, al contrario, che questa sarebbe l’ennesima dimostrazione della sudditanza psicologica e della soggezione in cui vivevano gli imprenditori lametini, che, non potendosi sottrarre all’invito, preferivano il male minore pur di non provocare le ira della cosca: l’ennesimo esborso di 500 euro ciascuno, con altrettanto guadagno di oltre 500mila euro per gli sposi, che si sono presentati in chiesa a bordo di due Ferrari 360 Modena, una per lui ed una per lei. A fronte di tali ulteriori sviluppi processuali, i difensori hanno quindi rinunciato ai propri testimoni residui, ed il processo è stato quindi rinviato al 7 maggio per la discussione.
x
x