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«La mancata crescita del Sud penalizza i 5 Stelle»

di Franco Scrima*

Pubblicato il: 04/03/2019 – 10:31
«La mancata crescita del Sud penalizza i 5 Stelle»

Non è solo la subalternità verso l’alleato di governo a determinare la perdita di consenso dei 5 Stelle; il depauperamento del bottino elettorale del 2018, dal punto di vista del Sud (Calabria e Sicilia, per intenderci), riguarda l’inesistenza di un programma organico di sviluppo che possa tirarlo fuori dalla povertà determinata dalle politiche dissennate di chi li ha preceduti.
Il Pil della Calabria è pauroso: 17.200 che rappresenta il nuovo record negativo della regione. È seguito a ruota dalla Sicilia con 17.500. Hanno fatto meglio tutte le altre regioni del Mezzogiorno a cominciare dalla Campania che si attesta a 18.200 seguita dalla Puglia 18.400, dal Molise 19.800, dalla Basilicata 21.100 e dall’Abruzzo al 24.700.
Il confronto è ancora più pesante se fatto con le regioni del centro Italia dove il Pil è attestato a 30.700 e diventa catastrofico messo a confronto con le regioni del Nord (35.200) che raddoppiano la Calabria.
A spingere la perfidia fino in fondo, sovviene il Pil della Germania: 39.600.
Dopo questo confronto, la domanda nasce spontanea: ma che Paese siamo stati capaci di costruire? E non solo, ma anche che tipo di Europa ci ritroviamo? Tutti i dati fanno consolidare la certezza che in Italia è mancata una seria strategia di crescita e in Europa l’idea di un continente unito e solidale.
La disparità tra il Nord e il Sud è assurda, ingiustificata così da indebolire la credibilità e le capacità di tutti i governi (compreso l’attuale) che si sono succeduti dall’avvento della democrazia in avanti. In questa parte del Paese è mancata la progettualità per farla camminare di pari passo con le regioni più fortunate. E ancora oggi il Mezzogiorno dell’Italia è sud, inteso nel suo significato più deleterio!
Così stando le cose come si può pretendere che ai meridionali interessi per quale maggioranza si sta lavorando per il Parlamento europeo, se con le destre reazionarie o con le sinistre moderate? Il Mezzogiorno è disilluso che queste alchimie elettoralistiche servano a riequilibrare il suo Prodotto Interno Lordo. Ciò che si pretende a queste latitudini è che cambi il senso di marcia, che si costruisca un’Italia di uguali, con gli stessi doveri ma anche con gli stessi diritti; con le medesime prospettive di sviluppo e, quindi, con uguale benessere.
C’è la necessità di un Paese nuovo, democratico, responsabile. Un paese unito per come sancito nella Costituzione! Una nazione che non sia solo il luogo nel quale i cittadini scelgono chi li governerà attraverso libere elezioni, ma un paese nel quale la democrazia sia anche sinonimo di uguaglianza. Un sistema, lo ribadiamo, di relazioni interne tra italiani con gli stessi doveri e uguali diritti a prescindere dalla regione nella quale risiedono. Democrazia significa soprattutto uguaglianza senza privilegi. Anche da questo punto di vista, l’Italia così com’è non è da ritenersi un paese democratico! Ci sentiamo tali perché eludiamo di pagare le tasse senza correre rischi. La raccomandazione è diventata il sistema, e non ci accorgiamo che così facendo stiamo distruggendo la qualità e la formazione. Le conseguenze gravano pesantemente sulla società che, obtorto collo, si trova ad essere gestita da una classe dirigente che, fatte salve le eccezioni, non rappresenta il meglio della popolazione.
Bisogna prendere coscienza della realtà che siamo stati capaci di costruire sapendo che democrazia vuol dire, per esempio, che da Nord a Sud il diritto alla salute deve essere garantito in egual misura, così come le retribuzioni a parità di prestazioni.
Forse il tempo massimo è anche scaduto, ma abbiamo il dovere di provarci per scongiurare il pericolo non solo di sentirci diseguali, quanto per concretizzare, secondo la Costituzione, il principio di unità che vuole l’Italia una e indivisibile.

*giornalista

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