ROMA L’occupazione femminile nelle regioni del Mezzogiorno è la più bassa d’Europa ed è inferiore perfino a quella della Guyana francese e dell’enclave marocchina di Melilla. A sottolineare il dato lo Svimez che alla vigilia dell’8 marzo evidenzia come il divario rispetto alla media europea, già elevatissimo nel 2001 (circa 25 punti percentuali), si è ulteriormente ampliato arrivando sopra i 30 punti, nel 2017.
Confrontando il tasso di occupazione delle 19 regioni e le due province autonome italiane con il resto delle 276 regioni europee emerge un quadro alquanto problematico. Solo la provincia di Bolzano si colloca nella prima metà delle regioni europee, con un tasso di occupazione femminile pari a 71,5%, alla posizione 92 nella graduatoria. Seguono Emilia Romagna (153) e Valle d’Aosta (154) e la provincia di Trento (175), con tassi di occupazione femminili intorno al 65%, in linea con la media europea dei 28 Paesi membri che è pari al 66,3%. Delle rimanenti regioni del Centro-Nord, Toscana, Piemonte e Lombardia si collocano intorno alla duecentesima posizione, mentre le altre su posizioni più arretrate con il Lazio ultimo in 236 posizione con un tasso del 55,4%.
Le regioni del Mezzogiorno sono sensibilmente distanziate da quelle del Centro-Nord e si collocano tutte nelle ultime posizioni, con Puglia, Calabria, Campania e Sicilia nelle ultime quattro e valori del tasso di occupazione intorno al 30%, di circa 35 punti inferiori della media europea.
Tra le regioni meridionali, prosegue l’analisi Svimez, le posizioni meno sfavorevoli sono quelle Abruzzo (256) con un tasso di occupazione pari al 47,6%, Molise (260) e Sardegna (261) con tassi di occupazione intorno al 45%.
Lo studio mette in evidenza come nel 2018 sono state 3 milioni 663mila le donne che hanno svolto lavori qualificati, di queste, però, appena 851mila sono meridionali, meno di un quarto del totale. Infatti, secondo elaborazioni Svimez su dati Eurostat e Istat al 2018, si nota che il tasso d’occupazione femminile per le donne in possesso di laurea è ancora molto basso al Sud, appena il 63,7%, contro una media dell’81,3% in Europa, con punte dell’84,7% in Germania e 85,9% nei Paesi Bassi e dell’85,2% in Portogallo, e il 79,8% del Centro-Nord.
Le donne laureate sono inoltre penalizzate anche dal punto di vista retributivo: una donna laureata da quattro anni che lavora al Sud ha un reddito medio mensile netto di 300 euro inferiore a quello di un uomo (1.000 euro contro 1.300). A livello nazionale il differenziale è di poco inferiore circa 250 euro. Le donne lavoratrici dipendenti guadagnano in media 1.281 euro mensili nette, se sono impegnate a tempo pieno, contro i 1.398 delle loro omologhe nel Centro-Nord. Tra le laureate il divario di genere si attenua ma non si annulla.
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