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«L'inutile sceneggiata del 416 ter»

di Jole Santelli*

Pubblicato il: 09/03/2019 – 13:21
«L'inutile sceneggiata del 416 ter»

La guerra alla mafia è una cosa seria, così seria da non prestarsi ad inutili sceneggiate propagandistiche e da essere sottratta alla estemporaneità degli interventi. Le modifiche normative dovrebbero essere valutate e ponderate con massima attenzione alla loro efficacia giuridica piuttosto che alla effimera pubblicità di un titolo giornalistico. Alla Camera questa settimana è stata discussa una proposta di legge a firma 5 stelle di modifica del 416 ter, il cosiddetto voto di scambio politico-mafioso. La norma voluta fortemente da Giovanni Falcone era stata inserita nel decreto del dopo stragi del ’92. Da allora il Parlamento, in modo piuttosto dissociativo, è più volte tornato a modificare la norma. L’attuale modifica si basa su alcuni punti fermi. L’innalzamento della pena soprattutto. Così lo ‘scambio’ di voti finisce per avere lo stesso disvalore della partecipazione all’associazione a delinquere di stampo mafioso. Se poi, in base a tale scambio, la persona viene eletta la pena è aumentata sino alla metà, 22 anni di reclusione. La severità della pena dovrebbe essere proporzionata alla “precisone” della condotta, invece, avviene il contrario. La norma si contraddistingue per vaghezza e indeterminatezza, eludendo le fondamentali basi della filosofia del diritto. Chi compie, di fatto, questa fattispecie di reato? Chiunque faccia un accordo, accordo che prevede qualsiasi utilità. Con chi deve essere chiuso questo accordo? Direttamente o tramite un intermediario con un appartenente alla criminalità organizzata. E qui sorge un problema giuridicamente serissimo, la cui sottovalutazione non solo rischia di produrre errori giudiziari ma anche di minare l’autorevolezza dello Stato nell’aggressione reale alle cosche.
Chi è per la legge un “appartenente alla mafia”? Una persona condannata in via definitiva per questo reato, la risposta più ovvia. Ma questo non è chiaro, non è stabilito dalla nuova norma e può esserlo una persona indagata per mafia. Può esserlo una persona raggiunta da misura di prevenzione, può esserlo, come dicono alcune sentenze della Cassazione, un appartenente per legame di sangue ad una famiglia ritenuta mafiosa. Chi fa un accordo relativo a qualsiasi utilità con una persona deve aver consapevolezza che questo sia un appartenente alla mafia? La Camera, innovando rispetto al testo Senato, risponde di no. Risulterebbe difficilissimo per l’accusa provare questa consapevolezza, pertanto, non è necessario per integrare il reato che la persona che abbia chiuso l’accordo, ricordiamo anche tramite un intermediario, sia consapevole di parlare con un “mafioso”. Inutile in Aula qualsiasi richiamo al buon senso, inutile ricordare che molto procuratori avessero chiesto di non cambiare la norma, inutile appellarsi ad un minimo di razionalità richiamando la coerenza di un sistema giudico che in tanto è valido in quanto sia razionale è chiaro. In un Parlamento sordo è andato in onda l’ennesimo scambio fra M5S e Lega, con i primi che avevano dovuto digerire una “legittima difesa” indigesta e che pretendevano pegno da una Lega palesemente imbarazzata e muta. Con FdI che, dopo aver per due giorni contrastato a forza di emendamenti e di interventi polemici il provvedimento, straordinariamente si è scoperta alla fine favorevole ogni forza politica si assume la responsabilità delle proprie scelte, è chiaro, ma rimane l’amarezza per temi importanti trattati con superficialità disarmante, con pressappochismo giuridico che lascia interdetti. Non è un problema formale è una questione politica sostanziale. È il tonfo dello Stato di Diritto che si piega alla mera propaganda senza consapevolezza alcuna,nell’idea illusoria che il connubio perverso tra criminalità organizzata e istituzioni si combatta con provvedimenti spot. Una norma così adulterata rischia solo di aggiungere confusione, di imbarbarire ulteriormente l’armamentario giuridico costellato, dagli anni novanta in poi, da molti errori giudiziari. In barba a principi che la stessa Consulta ha più volte richiamato, nel desolante deserto di una legislazione figlia e specchio di tempi opachi.

*Vice Presidente della commissione antimafia. Deputato di Forza Italia

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