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Una giornata per raccontare gli studi calabresi sulla Terapia del dolore – SPECIALE

I dati dell’Unical rappresentano la situazione dei centri in tutta Italia. “Salute e Sanità” illustra il dossier

Pubblicato il: 09/03/2019 – 12:18
Una giornata per raccontare gli studi calabresi sulla Terapia del dolore – SPECIALE

ROMA È stato presentato al ministero della Salute il progetto “Studio conoscitivo delle Reti di terapia del dolore”, avviato nell’ambito dell’accordo di collaborazione stipulato nel dicembre 2017 tra il Ministero della Salute e l’Università della Calabria.
La ricerca ha avuto come obiettivo la realizzazione di uno studio epidemiologico di prevalenza della patologia del dolore cronico su scala nazionale e regionale ed un’analisi dell’organizzazione clinico-gestionale della “Rete di Terapia del Dolore” nelle regioni, con particolare riferimento a quelle sottoposte a Piano di rientro. L’analisi svolta ha analizzato i processi organizzativi e assistenziali dei servizi dedicati alla terapia del dolore, individuando le strutture, le attività, le professionalità coinvolte ed i dati e documenti da esse prodotte.
«Siamo soddisfatti del lavoro svolto – ha dichiarato il prof Roberto Guarasci, coordinatore scientifico – perché è il primo studio veramente organico realizzato con il coinvolgimento di oltre 300 strutture a livello nazionale. Dai dati è emerso che i centri di terapia del dolore sembra siano abbastanza allineati con le direttive ministeriali per ciò che concerne la gestione del percorso di cura del paziente».
https://www.youtube.com/watch?v=ljGzZiHPWjY&feature=youtu.be&app=desktop
LO STUDIO Dallo studio si rileva che «i centri che dispongono di risorse tecnologiche utili per l’inquadramento diagnostico-terapeutico del paziente con dolore cronico risultano essere il 66,1% e, tra questi, si rileva un picco del 88,9% per Veneto e Marche. Tra questi il 66,1% sono Spoke, mentre il 24,4% sono Hub. Il restante 9,4% rimane suddiviso tra i centri che hanno dichiarato di essere ambulatori o altra tipologia di struttura».
«Le restrizioni imposte – è scritto nello studio – dal Piano di rientro vigente nelle regioni Lazio, Abruzzo, Molise, Campania, Puglia, Calabria e Sicilia non hanno apparentemente interferito con l’organizzazione del modello strutturale della rete, né con l’efficienza delle prestazioni all’utenza. Infatti la Sicilia risponde con un 71,4% (su un totale di 14 strutture rispondenti) circa la disponibilità di risorse tecnologiche nel centro e la Campania con il 75%. Leggermente più basso il dato del Lazio, con il 66,7% (su 18 strutture rispondenti). Per quanto riguarda le altre regioni, si registra un picco dell’88,9% per le Marche e il Veneto; seguono il Trentino Alto Adige, con l’85,7%, e la Liguria, con l’80%. Tutte le altre regioni dichiarano una disponibilità di servizi per un valore medio del 58,6%. Tra le criticità si è evidenziato come manchi un protocollo condiviso per la gestione del paziente con dolore cronico a livello regionale. Infatti, solo il 30,8% in Piemonte e il 20% in Trentino Alto Adige dichiarano di disporre di un protocollo condiviso all’interno della regione, mentre in altre regioni si tocca il 7,7% nel Lazio, il 4,2% in Lombardia. Altre regioni, come il Veneto, la Puglia, la Campania e l’Emilia Romagna, dichiarano di non avere un protocollo condiviso a livello regionale».
Dalle considerazioni finali dello studio emerge che «tutte le regioni, comprese quelle in Piano di rientro, si sono attivate per la realizzazione delle rete regionale per la gestione del paziente affetto da dolore cronico, secondo quanto previsto dalle direttive ministeriali vigenti. Ancora oggi in alcune regioni, non solo in quelle in Piano di rientro, esistono alcune carenze organizzative in parte derivanti da problematiche burocratiche regionali e/o aziendali interne ed in parte dalla carenza del personale medico e paramedico specificatamente dedicato».
IL CONVEGNO Ad aprire i lavori Andrea Urbani, direttore generale della programmazione sanitaria del ministero della Salute, che ha sottolineato come il report sia “una raccolta di informazioni che servirà a capire come far crescere armonicamente i sistemi sanitari regionali e come ammodernare il sistema nazionale”. A fare il punto dello stato dell’arte sulla Terapia del Dolore in Italia, è stato il dottore Francesco Amato, direttore dell’UOC di Terapia del Dolore dell’Azienda Ospedaliera di Cosenza: “Il dolore è un’epidemia sociale e i sistemi sanitari devono farci i conti. Oggi abbiamo dei numeri sul dolore che sono drammatici”, ha detto Amato che ha però sottolineato che oggi “si sta evolvendo la terapia del dolore. Sono tanti i passi avanti fatti grazie alla legge 38. Specialmentee sulla formazione. Vogliamo poi lanciare un appello – ha aggiunto – ci auguriamo che intorno al dolore si crei un luogo di ricerca. Nessuno deve soffrire di un dolore inutile”. A mettere in luce lo studio sono stati i professori Roberto Guarasci e Sara Laurita dell’Università della Calabria.
AMATO «Momenti come quello di oggi – ha detto il dottor Amato a 9colonne – a proposito della presentazione del report a Roma – ci fanno capire che qualcosa in sanità sta cambiando. Per la prima volta a 10 anni da quella che è stata definita una legge modello, la legge 38 del 2010, è arrivato il momento di fare un bilancio e capire quali siano gli elementi correttivi da apportare. Oggi – ha continuato il direttore dell’UOC di Terapia del Dolore dell’Azienda Ospedaliera di Cosenza – registriamo gli effetti di una legge che ci ha visti ai vertici della sanità europea. La legge 38 è ormai una realtà diffusa su tutti i territori regionali, provinciali. E’ capillarmente diffusa: quello che manca è forse una comunicazione alla popolazione perché prenda coscienza di questo suo diritto e attorno a questo suo diritto possa trovare risposte».
URBANI: ARMONIZZARE LE BUONE PRATICHE «Questo Paese, 10 anni fa ha fatto una grande scelta di civiltà con la legge 38, che ha inteso garantire a tutti quanti i cittadini cure adeguate per le terapie del dolore e le cure palliative», ha detto Andrea Urbani, direttore generale della programmazione sanitaria del ministero della Salute, intervenendo questa mattina a Roma alla presentazione dell’indagine conoscitiva “Reti di terapia del dolore” realizzata dall’Università della Calabria. «A quasi dieci anni da questa legge – ha spiegato Urbani – abbiamo voluto effettuare un’indagine conoscitiva sullo stato d’attuazione delle reti su tutti i singoli territori. Questo perché sappiamo che i dati di prevalenza sono molto importanti sul dolore, dal 20 al 40 per cento. Esistono diversi studi che ci dicono che impattano fortemente non solo sulla qualità della vita del cittadino ma anche sui sistemi economici. Quindi travalicano il fondo sanitario ma impattano sul welfare e il bilancio dello Stato», ha aggiunto. «Attraverso questa indagine conoscitiva faremo un assessment dello stato di attuazione delle reti per orientare le scelte di programmazione. Noi stiamo puntando molto sulla terapia del dolore. Abbiamo stabilito delle linee e dei fondi: l’obiettivo è armonizzare le buone pratiche sui singoli territori». Per Urbani, il report di oggi «serve per orientare la locazione delle risorse su degli indirizzi che sono strategici per il futuro e per la sostenibilità del sistema sanitario». Quindi lo studio presentato oggi al ministero sarà fondamentale «per orientare scelte di programmazione»: «Il nostro compito è anche di impostare delle azioni che servano ad aumentare la conoscenza in tutti gli stakeholder, garantire l’accesso all’innovazione sulla cura di queste patologie, garantire una crescita armonica delle reti della terapia del dolore sul territorio nazionale». Infine, il direttore generale della programmazione sanitaria del ministero della Salute ha sottolineato: «Le parole d’ordine ora sono comunicazione e innovazione. Ma non solo. E’ importante colmare gap che abbiamo rilevato attraverso questa indagine conoscitiva, quindi il compito dello stato centrale è quello di garantire i livelli essenziali a tutti i cittadini a prescindere dal luogo di nascita. Orienteremo le nostre scelte per trasferire le buone pratiche rilevate su quei territori che sono rimasti un po’ più indietro».

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