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«La Consulta e i guai di Comuni e fornitori»

di Ettore Jorio*

Pubblicato il: 18/03/2019 – 13:15
«La Consulta e i guai di Comuni e fornitori»

È emergenza sulla tenuta dei bilanci degli enti locali (non è detto che alcune Regioni, a cominciare dalla nostra, non abbiano di qui a poco lo stesso problema) e, conseguentemente, sulla certezza dei pagamenti dei crediti vantati dai fornitori di beni e servizi nei confronti di Comuni, Province e Città metropolitane. Molti di questi creditori potrebbero subire – dopo la beffa vissuta da decenni di vedere soddisfatte le proprie pretese creditorie con ritardi interminabili, finanche di anni – il peggiore dei danni per un imprenditore. Quello di essere assoggettato (si badi bene!) per crediti inesatti alle procedure fallimentari e alle dichiarazioni di fallimento. Ciò quantomeno limitatamente ai 18 mesi che separano l’efficacia dalla nuova disciplina da quella attuale, che fa sparire, e non solo lessicalmente, l’appellativo di fallito dal vocabolario giuridico sostituendolo con quello di debitore.
L’incipit
Tutto questo potrebbe ragionevolmente accadere a seguito della sentenza della Corte costituzionale n. 18/2019 e delle decisioni applicative, cui non potranno sottrarsi le Sezioni regionali di controllo della Corte dei conti nell’esercizio dei loro compiti istituzionali di controllo attuativo del piano di riequilibrio finanziario straordinario per lo più decennale. Quei provvedimenti – del tipo, l’ordinanza emessa dalla sezione di controllo per la Campania relativamente al comune di Pagani e la delibera adottata dall’omologa calabrese riferita alla Città metropolitana di Reggio Calabria – comunque propedeutici ad imporre futuri dissesti a quegli enti locali che avessero: a) fatto ricorso alla procedura straordinaria di riequilibro finanziario pluriennale, di cui agli artt. 243 bis-quater; b) nel contempo goduto della rimodulazione del piano di riequilibrio, quale espressione della facoltà di spalmare in trent’anni il maggiore disavanzo determinato dal riaccertamento straordinario dei residui preteso dal d.lgs. 118/2011. Ciò almeno per quei comuni che non avessero già registrato l’approvazione del piano rimodulato da medesimo Giudice contabile.
La lettura della Corte dei conti catanzarese
Una previsione, questa, tuttavia stravolta nella decisione della Sezione di controllo di Catanzaro, atteso che quest’ultima ha ritenuto, nell’esaminare il caso di Reggio Calabria, di agire prescindendo dalla sua precedente approvazione del piano rimodulato intervenuta due anni orsono. Lo ha fatto intervenendo in una sorta di autotutela, rendendo così inefficace la sua anzidetta deliberazione del 2017 e, di guisa, imponendo alla Città dello Stretto una missione impossibile.
L’antidoto reggino
Una situazione che ha sensibilizzato, su iniziativa del sindaco metropolitano Falcomatà, l’Anci nel rivendicare nei confronti del Governo una soluzione strutturale ad un dramma che, di qui a poco, potrebbe divenire pericolosamente diffuso. Potrebbe investire, infatti, tutti i comuni in predissesto, tanto da mandarli in default, sempreché l’assunto cui è pervenuta la Sezione calabrese dovesse essere unanimemente condiviso dalla totalità delle Sezioni di controllo.
Le preoccupazioni dei cittadini e dei creditori
L’accaduto è preoccupante, non solo per la tenuta del sistema autonomistico, in alcune regioni rimasto l’unico baluardo istituzionale per quei cittadini completamente a secco di diritti civili e sociali, ma perché metterebbe in ginocchio le imprese fornitrici delle amministrazioni locali. Ciò in quanto le stesse si vedrebbero trattate come se fossero assoggettati ai comuni riparti fallimentari o di concordati preventivi, ovverosia «soddisfatte» nei loro crediti in percentuali liquidatorie, spesso infinitesimali, ma di certo di gran lunga inferiori rispetto al valore di quello originariamente vantato, con conseguenti danni irreparabili per i loro stati patrimoniali a tal punto da mettere in forse il proseguimento dell’attività di impresa.
Il dovere del legislatore
Tutto questo accade nel momento in cui il diritto fallimentare è stato mandato in soffitta a mente dell’introduzione della disciplina (d.lgs. 14/2019) voluta dal legislatore per rimediare ai danni sistemici determinati da una legislazione esclusivamente sanzionatoria e punitiva.
Da qui, l’esigenza di una rinnovata ratio legislativa da estendere anche alle pubbliche amministrazioni in crisi, con a monte l’individuazione di strumenti finanziari che diano vita (finalmente) al fondo perequativo individuato dalla Costituzione a sostegno dei territori economicamente più deboli.

*docente Unical

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