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Matrimoni di comodo e armi da guerra, così i clan dominavano nel Torinese

Gli affari della ‘ndrangheta in Piemonte raccontati dai pentiti. Droga, slot machine illegali e «alleanza con professionisti e funzionari pubblici». Il patto con la mafia e gli attentati contro il …

Pubblicato il: 19/03/2019 – 7:31
Matrimoni di comodo e armi da guerra, così i clan dominavano nel Torinese

di Pablo Petrasso (p.petrasso@corrierecal.it)
TORINO Il quadro è «inquietante», perché il clan Bonavota, in Piemonte, lavora «al servizio di Salvatore e Francesco Arone quantomeno dai primi anni 90, senza soluzione di continuità specialmente nel lucroso settore degli stupefacenti». Quasi trent’anni di affari, rapporti con i colletti bianchi, infiltrazioni nella politica. Sono, soprattutto, le parole del pentito Ignazio Zito a illuminare il quadro tracciato nell’inchiesta “Carminius”, che ieri ha portato in carcere 15 presunti esponenti dei clan calabresi (qui la notizia). I magistrati della Dda di Torino parlano di «bulimici movimenti del sodalizio in ogni direzione (illecita) dettata dal profitto: stupefacenti in grandi quantità, documenti e denari falsi, matrimoni di comodo, dispositivi VLT (Video lottery terminal, le slot machine) illegali e quant’altro». Zito racconta che, per garantire la «“tranquillità” operativa dell’associazione» il clan ricorreva anche a «inquietanti movimenti di armi finanche da guerra». E per “entrare” meglio nel tessuto sociale non trascurava neppure «pericolose alleanze con professionisti e funzionari pubblici apparentemente infedeli e ben aperti al mercimonio delle proprie funzioni».
IL PATTO CON LA MAFIA Il capo della cosca, Salvatore Turi Arone, «già vanta sul certificato del casellario giudiziale un omicidio commesso esattamente il giorno di Natale del 1980, oltre a essere indiziato di averne commesso un altro in danno di un ragazzo reo di essere stato nei suoi confronti “scostumato”». Suo fratello Francesco, invece, è stato condannato «a circa 10 anni di reclusione per fatti relativi agli stupefacenti». Sono dati che servono agli investigatori per inquadrare lo spessore criminale dei due presunti boss. Spessore riconosciuto anche dalla mafia. Costituitasi, secondo i magistrati antimafia, in un«cartello» con la ‘ndrangheta piemontese. Un accordo, questo, «che risulta aver determinato un certo salto di qualità della compagine, con atti fortemente minatori anche nei confronti degli amministratori pubblici, al fine di ottenere provvedimenti amministrativi quanto più graditi e in linea con gli interessi del sodalizio».
GLI ATTENTATI A CARMAGNOLA L’alleanza con i siciliani è parte di un processo che mostra un «territorio dominato da decenni» dalla ‘ndrangheta. Questa la fotografia della zona di Carmagnola così come emerge dall’ordinanza di custodia cautelare. Uno degli arrestati è Antonino Buono, 61 anni, originario della provincia di Palermo, residente nel paese, che secondo un pentito è «rappresentante dell’anima siciliana di un accordo di collaborazione a quanto pare intervenuto con gli esponenti della ‘ndrangheta». Gli investigatori ritengono che fosse la figura «deputata a reinvestire il denaro dell’associazione» nel settore dei videopoker «in grado di incrementare in misura esponenziale» i guadagni. In questo ambito sono state fatte rientrare le azioni contro esponenti politici locali (della maggioranza di centrodestra) come il vicesindaco Vincenzo Inglese: «Nel 2016, pochi mesi dopo la mia elezione, io ero stato candidato sindaco, e si verificò l’incendio della mia auto. Nella mia campagna elettorale avevo preso l’impegno di emettere provvedimenti contro le slot machines. Quando nel 2017 è stata bruciata l’auto di Cammarata, allora ho collegato anche questo fatto a quanto era accaduto a me». L’ordinanza contro i videopoker fu emessa ugualmente. Secondo una testimonianza raccolta dagli inquirenti, Buono «aveva sostenuto anche finanziariamente la campagna elettorale di una lista che appoggiava il centrosinistra».

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