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Incroci pericolosi tra i “colletti bianchi” del clan Bonavota

A Torino si incontrano due commercialisti che l’antimafia considera al servizio della cosca. E, tra investimenti in Ungheria e a Dubai e una partita di “Bolivar”, pianificano le strategie imprendit…

Pubblicato il: 20/03/2019 – 11:39
Incroci pericolosi tra i “colletti bianchi” del clan Bonavota

di Pablo Petrasso
LAMEZIA TERME Gianmaria Gallarato è il “colletto bianco” individuato dal clan Bonavota in Piemonte come terminale economico per le attività illecite della cosca. È quello che pensano i magistrati della Dda di Torino, per i quali il commercialista era «consapevole di prestare la propria opera in favore di esponenti della criminalità organizzata», al punto da diventare «punto di riferimento» anche per esponenti della ‘ndrangheta, «appartenenti a cosche “vicine” a quella dei Bonavota, come nel caso di Antonio Anello». 
L’elenco sarebbe anche più lungo, così come quello dei presunti illeciti commessi dal giovane – Gallarato ha 28 anni – “consulente”. Che «non si è limitato a fornire le proprie prestazioni professionali, divenendo un vero e proprio collaboratore fidato e punto di riferimento». Il professionista avrebbe anche fornito «supporto logistico, come nel caso del rapporto con Giovanni Barone, nella consapevolezza che quest’ultimo fosse stato inviato in Piemonte dagli esponenti di vertice della cosca Bonavota».
TRA CRAC E RELAZIONI PERICOLOSE Nel Torinese si incrociano dunque le storie di due commercialisti considerati vicini alla criminalità. Per Barone – che non è indagato nell’inchiesta dell’antimafia piemontese – il legame viene dato per scontato dagli investigatori. È a lui che il clan avrebbe affidato il compito di curare i propri affari a Torino. Barone si muove spesso: nel corso dell’inchiesta viaggia tra Calabria, Veneto, Liguria, Piemonte e Lombardia. È proprio in Lombardia che la sua storia giudiziaria conosce una curvatura significativa: una condanna a 8 anni e 6 mesi per il crac della Perego Strade e della Costruzioni Alpe, a conclusione di una costola del più celebre processo “Crimine-Infinito”, una delle pietre miliari giudiziarie sull’infiltrazione della ‘ndrangheta al Nord. Barone è romano di nascita ma calabrese di adozione e, secondo l’accusa, si sarebbe appropriato di 450mila euro prelevati direttamente dalle casse della Perego Holding. Da parte sua si è sempre difeso ribattendo di non essersi mai accorto di ciò che avveniva attorno alla Perego. Né «di aver favorito un’associazione per delinquere», né di aver contribuito in alcun modo allo svuotamento della cassa aziendale. 
Per uno dei presunti boss della cellula torinese dei Bonavota, Barone è «mio cugino» e, al suo arrivo in Piemonte, viene accolto con ogni riguardo. È il Gico della Guardia di finanza ad annotare la sua presenza «nel mese di marzo, quando era in atto una trattativa per definire la compravendita di un’ingente partita di banconote venezuelane “Bolivar”, veicolata dagli Arone (i presunti capi del clan, ndr) a Barone, evidentemente interessato all’acquisto per conto dei Bonavota». 
Barone arriva al Nord perché «dobbiamo lavorare», spiega Francesco Santaguida, per i magistrati una sorta di coordinatore per le attività economiche dei Bonavota in Piemonte (Santaguida è il figlio di un consigliere comunale di Sant’Onofrio, ndr). E conferma così quanto emerso nelle indagini della Procura di Genova, «che hanno consentito di accertare il ruolo di Barone in seno alla cosca dei Bonavota», per la quale sarebbe il «soggetto deputato a effettuare investimenti per conto degli esponenti di spicco del sodalizio».
INVESTIMENTI ESTERI E COLLABORAZIONE TRA COLLETTI BIANCHI È a questo punto della storia che l’attività di questo “consulente” d’affari si incrocia con quella del giovane commercialista avvicinato dagli Arone nel Torinese. Barone arriva in Piemonte «alla ricerca di attività economiche in cui investire» e il suo interesse – esteso anche alla Lombardia – si indirizza «principalmente verso quelle aziende in particolare difficoltà economico/finanziarie, da poter rilevare». È in questo genere di “impegno” che Gallarato «si è messo a disposizione, assecondando tutte le richieste pervenutegli da Barone, sapendo che lo stesso fosse stato “mandato” in Piemonte da soggetti presenti in Calabria appartenenti alla cosca di riferimento di Arone». Il professionista calabro-romano chiede al giovane collega arrestato lunedì nell’operazione Carminius «di attivare “due schede telefoniche” e di comprare “due telefoni”» probabilmente per rendere più sicure le loro comunicazioni. E della sua spregiudicatezza è consapevole anche Gallarato: «Da quello che ho capito – racconta al telefono – l’hanno arrestato per un fallimento enorme, fraudolento e… lui traffica con Dubai, è uno… infatti prima lo sentivo che parlava al telefono, non lo so quanto sia vero». E poi «è un po’ come noi, che si mettono lì e cercano, cioè io non mi fermo a dire non trovo l’azienda.. questo cerca dappertutto finché non la trova».
Il duo Barone-Gallarato si interessa (assieme a un gemetra originario di Catanzaro) all’acquisizione di un immobile del valore di circa 1,9 milioni di euro e, soprattutto, sa di dover avere un certo riguardo per un determinato tipo di clienti. «Ti stavo dicendo – sono parole di Barone –, siccome io ho più esperienza di te in merito alla gestione di clienti del Sud e non voglio stronzate, perché voglio le cose fatte per bene». Per gli inquirenti, il commercialista avrebbe collaborato agli investimenti dei Bonavota in Ungheria.
L’AVVERTIMENTO Dei clan di ‘ndrangheta si manifestano – in una storia collaterale che riguarda il finanziamento chiesto da un’impresa di pellet – anche gli atteggiamenti tipici. La titolare di un’azienda, infatti, è insoddisfatta del modo in cui Barone ha gestito la pratica e minaccia di denunciarlo. A quel punto, riceve la visita inattesa di due «soggetti “calabresi… abbastanza giovani… sotto i quaranta”». I due cercano «la titolare e il marito, che non erano presenti». A quel punto trovano «nel negozio la figlia della proprietaria e il nipote»; prima chiedono del pellet, poi dicono «eh belli… i bambini, peccato che paghino i problemi dei grandi». Per la Dda di Torino è un’intimidazione. Ne viene a conoscenza anche Gallarato, tramite una collega. Cerca di rassicurarla: le dice che taglierà i ponti con Barone. Ma i rapporti tra i due continueranno. Lasciare «la gente del Sud» fuori dalla porta, a quel punto, è impossibile. (p.petrasso@corrierecal.it)

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