LAMEZIA TERME A chi conosce la Calabria non può sfuggire il senso profondo della sentenza dei giudici toscani che cancella l’interdittiva a Ristorart. Trova sostanza in due date e in una dinamica. Le date: il 6 ottobre 2016 la Prefettura di Crotone autorizza un subappalto. Ristorart, è in procinto di occuparsi della gestione della refezione nell’Azienda ospedaliera di Catanzaro, si appoggia a una ditta che, in quel momento, ha in corso un appalto con la stessa Prefettura per la gestione del servizio mensa della Questura di Crotone. Nessuno – lo dicono i magistrati del Tar Toscana – potrebbe pensare che quell’azienda sia legata a un clan di ‘ndrangheta. Di certo non possono saperlo i manager di Ristorart. Il quadro cambia il 15 maggio 2017, quando scatta l’operazione Jonny della Dda di Catanzaro. Da quel momento in poi – è questa la dinamica – parte l’offensiva che colpisce l’azienda toscana. Il paradigma si capovolge: la Prefettura poteva approvare il subappalto e assegnare alla ditta in odore di mafia (la Quadrifoglio) la gestione della mensa della Questura, i manager di Ristorart invece diventano “colpevoli” di non aver anticipato le azioni delle forze dell’ordine. E dire – a proposito di legami e conoscenza del territorio – che al vertice della Prefettura di Prato (nel giudizio è stata anche condannata al pagamento delle spese) c’è Rosalba Scialla (è lei a firmare l’interdittiva) che, nel 2010, lavorava proprio come viceprefetto a Crotone. Erano gli anni d’oro del centrodestra calabrese, gli imprenditori della “Quadrifoglio” avevano un ruolo politico di grande evidenza. Lo stesso lavoro della viceprefetto Scialla era apprezzatissimo, al punto da spingere le Corte d’appello a nominarla presidente della commissione elettorale per la provincia di Crotone, un territorio complicato, come hanno svelato molte inchieste antimafia.
NESSUNA INFLUENZA DELLA ‘NDRANGHETA In questo quadro, dunque, Ristorart, società che gestisce anche il servizio di ristorazione nella Cittadella regionale, incassa una sentenza – firmata dai giudici amministrativi Rosaria Trizzino (presidente), Riccardo Giani e Nicola Fenicia – nella quale si specifica che nel provedimento della Prefettura non sono «rappresentanti elementi sintomatici che consentano di evincere l’influenza anche indiretta delle organizzazioni mafiose sull’attività della società ricorrente». Come già evidenziato, il nodo della questione è un subappalto affidato, nel servizio di refezione del Cie di Isola Capo Rizzuto, a una società. la Quadrifoglio, il cui socio unico «è risultato coinvolto in procedimenti di criminalità organizzata» (l’operazione Jonny, contro le cosche del Crotonese). Una scelta che i magistrati non considerano né irrazionale né anti-economica (se lo fosse stata ci sarebbero stati i presupposti per considerare l’assoggettamento della ditta sana a quella inquinata dalla ‘ndrangheta), bensì motivata dal fatto che «nel periodo in considerazione», Ristorart «era in procinto di iniziare il servizio mensa presso un importante ospedale calabrese, così che preferì limitare il proprio impegno nel servizio presso il Cie di Isola Capo Rizzuto, conservando solo una percentuale del servizio stesso relativa alle prestazioni nel fine settimana».
DALLA PREFETTURA GIUDIZIO INFONDATO Considerazioni, queste, «che non appaiono inattendibili e che quindi portano ad escludere la fondatezza del giudizio della Prefettura sulla scelta di subappaltare come “anomala e contraria alle normali logiche commerciali”». All’epoca, tra l’altro, la società successivamente finita nel mirino dell’antimafia, non era “sospetta”, anche perché «era gestore uscente e gestore di servizio mensa presso la Questura». Oltretutto – e qui i giudici evidenziano le due date di cui abbiamo parlato – la concessione del subappalto era stata autorizzata dalla Prefettura di Crotone il 6 ottobre 2016 e «solo in data 15 maggio 2017 la Direzione Distrettuale Antimafia di Catanzaro trasmetteva il decreto di fermo a carico» dell’imprenditore legato ai clan «cui faceva seguito la richiesta di risoluzione del subappalto da parte della ricorrente e la revoca dell’autorizzazione al subappalto da parte della Prefettura». Dunque «non vi sono evidenze circa la conoscenza da parte» di Ristorart «del coinvolgimento» della ditta affidataria del subappalto «in rapporti illeciti prima della comunicazione della Dia».
Non valgono a capovolgere le argomentazioni del ricorso neanche le intercettazioni telefoniche presentata a supporto dell’interdittiva. Tant’è che, scrivono i giudici, «la Prefettura, nel valutare detta intercettazione, si limita a segnalare il tono confidenziale della conversazione stessa, mentre non risultano altri elementi significativi».
RISTORART: «ASSURDA VICENDA» Oltre alla soddisfazione per il giudizio, la ditta non può non evidenziare le conseguenze di lunghi mesi di difficoltà, economiche e no (c’è anche una gara da 20 milioni vinta in Piemonte e revocata dopo l’interdittiva). «La sentenza del Tar Toscana (n.401/2019) fa proprie le argomentazioni dei nostri legali Saverio Sticchi Damiani e Mauro Giovannelli», scrive la Ristorart in una nota, su «un’assurda vicenda che ci ha visti etichettati con disinvoltura come prestanome dei clan Arena e Nicoscia. La notizia dell’annullamento dell’interdittiva non giunge inaspettata né per noi interessati né per la quasi totalità dell’opinione pubblica», «ma resta, comunque, molto gradita anche, se a prevalere oggi, non è solo il successo giudiziario, bensì l’amarezza per i posti di lavoro persi in questi otto mesi e per quelli non avviati dopo la sospensione di nuove iniziative imprenditoriali che erano in partenza. Ad ognuno le più opportune riflessioni». «A ciò – conclude la nota – aggiungiamo il travaglio umano e familiare perché non esiste offesa peggiore per uomini onesti di essere accostati ingiustamente ad ambienti mafiosi; accusa per la quale non ci si può dare pace. Abbiamo sempre creduto e continuiamo a credere nelle Istituzioni ma auspichiamo, come cittadini di uno Stato di diritto, che quanto accaduto a noi non si ripeta più ad altri, colpevoli solo di essere nati e di aver fatto impresa, anche, in Calabria».
CONCORRENTI DELUSI La sentenza del Tar Toscana “delude” anche una ditta concorrente di Ristorart che non viene nominata nell’atto. Ma era intervenuta in causa come controinteressata. E sperava di subentrare a Ristorart nell’appalto affidatole dalla Cittadella (per il quale si è classificata al secondo posto) in caso di conferma dell’interdittiva antimafia. Ma i giudici amministrativi hanno frustrato anche queste velleità. Stabilendo, addirittura, che non la si può neppure definire controinteressata, «non essendo la suddetta società in alcun modo menzionata nel provvedimento impugnato».
IL “GARANTE” Speranze deluse, d’altra parte, da tempo. Più o meno da quando la Procura distrettuale e il Tribunale penale di Firenze avevano offerto un’ampia apertura di credito a Ristorart, nominando (su richiesta della società) un “garante” che assistesse i proprietari nel lungo oblio trascorso dopo l’interdittiva.
Nel provvedimento, adottato su parere conforme della Procura antimafia, il Tribunale di Firenze – pur tenendosi lontano dagli aspetti amministrativi sui quali ha operato già il Tar – spediva già due frecciatine all’operato delle Prefetture di Prato e Catanzaro: «Va anche rilevato che la unica situazione di fatto saliente apprezzata non consente, allo stato – sotto il profilo argomentativo, quindi, probatorio -, di ricondurre la funzione di prestanome della Ristorart srl… alle cosche di riferimento territoriale Arena e Nicoscia, per il difetto di altri e ulteriori elementi di collegamento tra la società stessa, che opera in più regioni e con più enti, specie pubblici, e il contesto mafioso segnalato». E in effetti pareva singolare che un’azienda con oltre trecento dipendenti, operante in quattro regioni e con una miriade di enti locali diversi, finisse col vedersi contestato per un unico episodio l’aver condiviso un servizio mensa con l’azienda scelta dalla Prefettura di Crotone.
I magistrati di Firenze, infatti, sottolineavano che, «pur nel rispetto del parallelo procedimento presso il Tar Toscana», era lecito «in applicazione dei parametri normativi sopra delineati e degli elementi di fatto acquisiti», statuire che «nel caso di specie sussistono tutti i presupposti di legge per accogliere l’istanza». Era anche un segnale da parte dell’azienda: quello di aprirsi ai controlli in maniera così totale da affidarsi a un esperto nominato dalla Procura. Segnale che la sentenza del Tar Toscana rilancia e amplifica.
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