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“Sistema Rende”, dai criminali nelle cooperative agli aiuti chiesti alla politica

In aula i testimoni riferiscono dell’era rendese quando nella nettezza urbana lavorava Ettore Lanzino

Pubblicato il: 22/03/2019 – 19:07
“Sistema Rende”, dai criminali nelle cooperative agli aiuti chiesti alla politica

di Michele Presta*
COSENZA C’è dentro la politica, la vita amministrativa del comune di Rende e le presunte ingerenze della criminalità organizzata cosentina. Alcune domande rimangono appese al filo, tipo: chi ha assunto Ettore Lanzino nella cooperativa di Rende che si occupava della nettezza urbana? Forse la verità dei fatti non verrà mai a galla, ma nel frattempo i testimoni citati dal pubblico ministero Pierpaolo Bruni riferiscono le circostanze di quegli anni dove oltre il Campagnano «non si faceva nulla senza il permesso di Sandro Principe».
Il processo “Sistema Rende” procede regolare in base alle cadenze stabilite dal collegio giudicante presieduto da Salvatore Carpino. Insieme a Principe, per corruzione aggravata in atti amministrativi e concorso esterno in associazione mafiosa, sono imputati Umberto Bernaudo e Pietro Ruffolo, mentre, Giuseppe Gagliardi attende gli esiti del giudizio per la sola corruzione elettorale.
IL BOSS DELLA MALA NELLA COOPERATIVA COMUNALE Le vicende giudiziarie del “Sistema Rende” si sviluppano su due assi: quello della gestione del bar “Colibrì” da parte di Adolfo D’Ambrosio e quella dei lavoratori della cooperativa rendese della nettezza urbana. «Io finché non è arrivato Ettore Lanzino ho lavorato in autonomia». Giuseppe Bartucci all’epoca dei fatti era il presidente della Coop “Rende 2000”. «Sì – dice al microfono rispondendo alle domande del pm – la richiesta di assumere personale mi arrivava da tutti», circostanza che conferma anche in fase di contro esame rispondendo alle domande dell’avvocato di Bernaudo. Ma c’è un altro punto che l’ex funzionario dell’ente in house del comune di Rende cerca di chiarire.
«Io non ho parlato delle assunzioni di Ettore Lanzino e di Umberto Di Puppo con Sandro Principe». La storia criminale di Ettore Lanzino è storia nota. Qualche mese dopo l’assunzione nella cooperativa si da alla latitanza prima della cattura. Umberto Di Puppo nello stesso procedimento con rito abbreviato è stato assolto.
I due hanno trascorsi criminali ma Bartucci giustifica così le assunzioni: «Come cooperativa avevamo il compito di fare inserire nel mondo del lavoro persone che avevano avuto problemi con la giustizia o con la tossicodipendenza». Ma se la richiesta di assunzioni arrivava da consiglieri, assessori e sindaci non c’è da meravigliarsi se molti dei lavoratori guadagnassero un extra in busta paga con l’affissione dei manifesti elettorali.
LA FALLITA COOP DI D’AMBROSIO Pagine di interrogatori, dichiarazioni e tanti episodi che si accumulano. Nella stanza del pm un racconto, nell’aula di tribunale un altro. La testimonianza di Eugenio Sottile e di suo padre Antonio, impiegato del Comune di Rende, è a metà tra i «non ricordo» e la minaccia di querela per falso da parte dei giudici. Sono loro che introducono nell’udienza il vero protagonista della vicenda ed il possibile collante tra la politica e gli ambienti criminali: Adolfo D’Ambrosio.
«Dovevamo fare una cooperativa – spiega Eugenio Sottile – che curasse la nettezza urbana dell’area mercatale». Proprio lì si trova il bar Colibrì gestito da D’Ambrosio.
«I documenti erano regolari, però passarono almeno due anni – aggiunge – finché con l’arrivo della giunta del sindaco Cavalcanti il progetto naufragò». Sottile non ha specificato se la sussistenza economica dipendesse dai soldi comunali. Troppo specifica la domanda e troppo marginale la sua posizione.
Superato il timore suscitato alla domanda: «Ha fatto campagna elettorale a Pietro Ruffolo?» riesce a proseguire. «Io avevo bisogno di lavoro e mio padre mi disse della possibilità di fare parte di questa cooperativa. Quando il progetto fallì chiesi al vice sindaco se c’era la possibilità di lavorare al comune ma non ebbi mai occasione di parlare di questa cosa con Principe in persona».
LA FAMIGLIA D’AMBROSIO Quale sia stato il vero rapporto tra Adolfo D’Ambrosio e Sandro Principe è un enigma complicato. «Veniva spesso alla segreteria – spiega Cinzia Gardi all’epoca portavoce di Principe -. Ricordo un periodo particolare quando esondò il torrente lì vicino al bar Colibrì che D’Ambrosio nella segreteria di Principe si lamentava molto della sporcizia e dei danni che aveva fatto l’acqua». Ed è questo il momento da collegare con l’idea della cooperativa a marca D’Ambrosio. «Immagino volesse avere la gestione dell’intera area –continua la testimone- attraverso una cooperativa di sua fondazione». Ma dagli appuntamenti in segreteria alle possibili ingerenze nell’operato di Principe c’è un abisso. «Stiamo veleggiando su ipotesi » commenta l’avvocato Franco Sammarco, difensore di Principe. E le ipotesi le avanza anche Francesco D’Ambrosio, cugino in primo grado di Adolfo ma con il quale : «Come famiglia non abbiamo nessun tipo di rapporto». L’ex consigliere comunale ha più volte rimarcato come il sostegno elettorale a Principe da parte di Adolfo d’Ambrosio si sarebbe potuto concretizzare solo nel 2004. Nelle precedenti elezioni, i D’Ambrosio erano schierati con propri candidati nelle liste di Rosario Mirabelli. «Sapevo che D’Ambrosio gestisse il bar Colibrì ancora prima che fosse fatta la gara. Come lo so? Era notorio a tutti. Io ho avuto un solo contatto con lui quando per motivi personali dovetti contattarlo e lui poi mi disse di fare in modo di intervenire visto che a seguito di una alluvione il bar aveva riportato un sacco di danni e che aveva speso molti soldi per farlo rimettere a nuovo». Francesco D’Ambrosio nella sua lunga deposizione, contornata da episodi politici più che criminali, ha raccontato alla corte come il bar Colibrì nel 2009 fosse stato anche scelto per una tappa della campagna elettorale delle provinciali intrapresa da Bernaudo. «C’erano molte tute gialle delle cooperative ricordo».
LE MINACCE DI MORTE Ma c’è dell’altro. Seppur non abbia ancora formalmente presentato denuncia ai carabinieri Francesco D’Ambrosio alla corte racconta di ripetute minacce di morte. «Temo per la mia famiglia e i miei figli. Su diversi account ho ricevuto minacce e mi è stata augurata più volte la morte». Il testimone ha chiarito che: «Vengo accusato di essere il responsabile di arresti e altri episodi solo per aver risposto alle domande dei magistrati. Io non ho nemici, se mi succede qualcosa è solo per questa storia». (m.presta@corrierecal.it)

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