C’è Alì, non dagli occhi azzurri di Pasolini, ma quello dei 40 ladroni. Ci sono 44 gatti sempre in fila per sei, e poi ci sono 49 migranti tratti in salvo e 49 milioni di euro scomparsi ed un nuovo morto a San Ferdinando. Ecco tutto sta qui dentro, tutto è compreso tra 40, ovvero la soglia di consenso elettorale alla quale Salvini tenta di arrivare, in verità non meglio contrastato in questa direzione, in subordine, quasi alla portata, dovesse decidere di stringere alleanza con la sovranista Giorgia Meloni, e i 49 non migranti, ma milioni di euro scomparsi insieme all’impudica morale a singhiozzo di una parte di elettori nazionalisti pronti a perdonare il maltolto e convinti che alla fine i morti di San Ferdinando se la sono cercata. È un po’ analoga la questione alle donne vittime di stupri e violenze. Anche la magistratura oltre il sentimento maschilista imperante concludono quasi sempre nella direzione di essersela le donne cercata.
E poi c’è il nuovo corso su migranti e flussi migratori, ovvero il palesarsi in maniera plastica della spettacolarizzazione del contrasto e dello sgombero dei diritti dei migranti e degli insediamenti informali nei quali sono destinati in presenza di forme di lavoro sempre più sfruttato a tentare di sopravvivere. Sì, perché dopo essere sopravvissuto ai tormenti del viaggio, alle torture libiche, al mare Mediterraneo, finisci per morire proprio quando pensavi di essere al sicuro in una baracca costruita alla meno peggio. Da ieri, invece, puoi morire anche su suolo del Ministero dell’Interno, dentro un’area sorvegliata dalle forze dell’ordine e dove l’accesso è rigorosamente sottoposto a controlli di ogni genere per garantire dignità e sicurezza. Questo ci dicevano. Ma è bastato poco, appena due settimane dall’operazione mediatica dello sgombero di San Ferdinando ed ecco ripresentarsi l’ennesima tragedia. Un nuovo rogo, un’altra giovane vita andata in fumo e nel vero senso della parola.
Credo che mai Trilussa avesse potuto pensare di ritornare attuale proprio a San Ferdinando quando scrisse ottanta fa oramai “Roma de travertino, rifatta de cartone, saluta l’imbianchino, suo prossimo padrone”. Così scriveva in occasione della visita di Hitler a Roma nel 1938, e così pare abbiano voluto fare con lo sgombero della baraccopoli di San Ferdinando, dove volendo dimostrare di abbattere le baracche di cartone si è fatto passare il messaggio che da quel giorno i braccianti africani di San Ferdinando avrebbero avuto condizioni abitative migliori e solide come il travertino. Così non è stato, così non pareva possibile essere fin dall’inizio e pure sono andate in scena due giornate di ubriacatura mediatica dentro le quali sono state distillate parole come dignità, sicurezza, umanità, legalità, sovranità, tutte servite, anzi mesciate nel calice della Santa Alleanza (la mia vocazione benedettina mi pone in tentazione anziché riparami da essa) allo scopo di salvarci dal Male. Sì, quel male dal quale bisogna rifuggire incarnatosi nei migranti e ritenuti in terra di ‘ndrangheta più pericolosi dei capibastone che di contro anche su di loro lucrano. Quanta ipocrisia, quanta irrisione, quanto basso è volere sostenere per giustificare uno sgombero inutile, in assenza di alternative idonee, che le conseguenze sarebbero potute essere peggiori se il rogo di ieri notte fosse divampato nella vecchia baraccopoli.
C’è un tempo perfetto per fare silenzio, come canta Ivano Fossati, e invece ecco arrivare la dichiarazione del ministro degli Interni che dispiaciuto aggiunge che «se fosse scoppiato l’incendio nella baraccopoli i morti sarebbero di sicuro stati di più». Come si può sostenere che sarebbero stati di più i morti, quando di contro risulta peggiore il bollettino finale del rogo scoppiato nella tendopoli ministeriale se si aggiungono i feriti. E poi, la questione può essere derubricata a un mero esercizio di contabilità di morti veri o potenziali quando gridano giustizia tutte le vite finora andate in fumo? E soprattutto vorrei chiedere al ministro che tanto si spende per la difesa dei confini vietando l’approdo nei porti italiani di navi da soccorso con a bordo migranti salvati da morte o tortura sicura (ricordando a chi sbronzo dell’ubriacatura sovranista che tutte le navi arrivate in Italia poi hanno comunque attraccato e sbarcato i migranti tratti in salvo in mare, come giusto che sia, altro che fermezza casereccia in salsa padana) a chi bisogna imputare la morte di Sylla poiché avvenuta dentro quei confini ministeriali dallo stesso Ministero tracciati e sorvegliati. È una morte istituzionale quella dell’ultimo rogo. La prima in quel contesto che ha un padrone di casa, il Ministero, ed un padrone nel mondo del lavoro che sono i caporali al soldo di ‘ndrangheta e grande distribuzione. In mezzo a questi diversi padroni un esercito di uomini e donne resi schiavi, deprivati di diritti e della vita finanche. Ma in mezzo c’è anche il ruolo della politica, della programmazione che deve definitivamente sganciarsi da visioni emergenziali così come annunciato dalla Regione Calabria.
Non sono le prove muscolari che potranno cambiare le rotte migratorie, non saranno presunti confini sempre più liquidi, porosi che potranno far cambiare ai migranti la necessità di mettersi in salvo, se non comprendiamo che l’orizzonte prossimo ci vede tutti coinvolti nel ridisegnare confini e spazi che vadano al di là delle attuali e pericolose implicazioni sovraniste. E poi, si può essere forti, feroci, anzi si può apparire tali, ma è sempre la natura che prima o poi ristabilisce l’ordine delle cose. Ci si può sentire leoni, mostrarsi tali, robusti come un elefante, ma nessuno di questi animali ha la forza di una formica. Sì, quelle formiche che a volte calpestiamo per gioco o per indifferenza proprio come facciamo tutti, poiché tutti siamo colpevoli, quando si schiacciano i diritti e la vita dei migranti. La formica riesce a sopportare e trasportare dieci volte il suo peso. Nessuno in natura può tanto. Nessuno al mondo credo abbia oggi la stessa forza di sopportare il peso delle discriminazioni come fanno i migranti schiacciati ogni giorno come formiche sotto il peso dell’indifferenza.
Ecco, ora anch’io dovrei fare ricorso a Ivano Fossati ma non per il silenzio, e aggiungo che c’è un tempo negato e uno segreto. Uno, quello dei diritti negati, e l’altro in cui chiusi nel segreto dei loro progetti andati in fumo i migranti perdono la vita mentre si pensa al prossimo sgombero, al prossimo embargo, al prossimo vaticinio da proferire mentre uomini e donne in carne ed ossa soccombono alla retorica padana in terra di Calabria. Un ossimoro, questo sì, forte, rovente, come il fuoco che inghiotte la memoria ed il buon senso anche di tanti calabresi. Ecco allora in conclusione che bisogna fare attenzione ai 40 ladroni di vite nel nostro caso, a quei 44 gatti sempre in fila e a fare le fusa ad un nuovo padrone da leccare e sperare che riemergano perché no anche quei 49 milioni della Lega scomparsi che, sono sicuro, il ministro Salvini destinerà ai migranti di San Ferdinando. Almeno come azione simbolica risarcitoria per la radicalizzazione crescente che ha posto in essere contro i migranti e le barbare discriminazioni conseguenti.
*Ricercatore e studioso dei fenomeni migratori
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