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«Inclusione sociale e welfare sostenibile»

di †p.Vincenzo Bertolone*

Pubblicato il: 29/03/2019 – 7:59
«Inclusione sociale e welfare sostenibile»

Pubblichiamo il testo integrale della relazione illustrativa di Vincenzo Bertolone, arcivescovo della diocesi di Catanzaro-Squillace, al convegno sul Welfare che si è svolto il 27 marzo all’Università “Magna Graecia” di Catanzaro.
Premessa. Prima di entrare in argomento permettetemi di riprendere il discorso del direttore Diges (Geremia Romano).
Come si è giunti all’attuale paradosso rappresentato dall’incremento delle nuove povertà, dalla sfera globale a quella nazionale e perfino regionale? Tutto nacque nel luglio 1944, allorché le potenze nemiche dell’asse (Germania, Giappone, Italia) si riunirono a Bretton Woods (USA), perché -a conflitto ultimato- fossero promosse Istituzioni internazionali in grado di favorire fra i vari Stati del mondo una politica monetaria e commerciale corrispondente ai bisogni e che risolvesse le problematiche del mondo, uscito dal secondo conflitto mondiale. Da questi accordi nacquero tra gli altri, il Fondo monetario internazionale per la ricostruzione e lo sviluppo (BIRD). In seguito, con l’affermazione del “villaggio globale” emersero nuovi problemi circa lo stato sociale (sanità, clima, ambiente ed energia) ai quali l’accordo di Bretton Woods non poteva dare risposte adeguate. Il mondo, nel frattempo, era stato scosso da profondi mutamenti culturali, etici e sociali. Inoltre, con l‘uscita (1971) degli USA dagli accordi postbellici, si è affermato nel mondo intero un accentuato liberismo, scevro da vincoli etici che, considerando il mercato “valore assoluto”, lo ha finalizzato esclusivamente al profitto, non più “strumento” per la ridistribuzione della ricchezza favorita dalle innovazioni e dalla tecnologia. Da qui la crisi per ogni patto sociale e per la storica centralità della finanza con conseguenze negative sull’economia reale, sul lavoro dipendente e con il processo di depauramento sia del proletariato sia della classe medio-borghese, a lungo depositaria del valori cristiani e dell’etica comunitaria. Di conseguenza ogni Stato ha accettato di reagire fino alla grave crisi economica del 2008. Da allora, ogni Stato ha attivato prima, consolidato poi alcun processi, nell’ambito della finanza, (giustamente ritenuti centrali), finalizzati a riavviare un processo di sviluppo qualiquantitativo, per imporre la centralità dell’uomo con il peso specifico delle coscienze dei singoli e della collettività.
A problemi tanto complessi, degni di una soluzione radicale, hanno fatto riscontro solo risposte e proposte di natura settoriale o contingente, e quasi sempre finalizzate a riscuotere il consenso politico.  Si tratta di politiche da rapportare con l’emergere di una nuova geopolitica nella quale incombe la Cina. L’uomo della strada ne trae la conclusione che mentre nel mondo occidentale si litiga tra “vicini di casa”, la potenza orientale ha l’obiettivo della supremazia, in ogni campo, con ogni mezzo. In questo quadro, emerge l’opportunità, o meglio, a necessità di parlare di welfare sostenibile
Parlare di finanza d’impatto e delle sue possibili applicazioni a vantaggio del territorio, della comunità e dell’economia calabrese significa confrontarsi, anche nella nostra realtà, con il ventennale processo di consolidamento dei diversi ed interrelati concetti di sostenibilità, innovazione sociale ed impact investing, confluiti prima nella più ampia cornice della circular e greeen economy (economia verde), ed oggi, più integralmente proiettati nell’avanzata frontiera del dominio della Società 5.0 e degli obiettivi di sviluppo sostenibili (dei Sustainable Development Goals) fissati dalle Nazioni Unite per il 2030.
In questa prospettiva, occorre, preliminarmente, evidenziare come anche nella Chiesa vi sia un’intensa riflessione su questi temi, poiché il progressivo affermarsi della cultura della “finanza etica” finalizzata a favorire l’abbattimento (o, quantomeno, la neutralizzazione) degli aspetti “predatori e speculativi” dell’agire economico, anche grazie all’introduzione su scala globale di opzioni e regole standardizzate di investimento socialmente responsabile (ESG-SRI – Environmental Social Governance & Social Responsabile Investments).
Nel mio intervento, tuttavia, vorrei tralasciare un approfondimento sugli aspetti più operativi di iniziativa pubblica e/o privata, sui limiti e sulle opportunità connesse ad un efficace ed efficiente impiego dei Fondi che l’Europa eroga per sostenere programmi e politiche istituzionali, sull’ampio e variegato tessuto di attività che anche sul nostro territorio regionale vengono quotidianamente promossi in questa prospettiva: di ciò diranno molto meglio di me gli altri illustri relatori.
Mi soffermerò, piuttosto, su alcuni principi generali relativi a due temi particolarmente rilevanti nella misurazione degli impatti di innovazione: l’inclusione sociale e la sostenibilità.
Il significato di inclusione sociale. La ricerca in corso intende sviluppare nel suo complesso un’analisi sugli approcci e sui modelli d’innovazione negli investimenti sociali, al fine di modernizzare le politiche e i servizi sociali, costituendo al contempo una base informativa adeguata, dai principali campi di intervento delle politiche per il sociale, agli esercizi di misurazione di impatto, che costituiscono la base fondamentale degli strumenti di impact investment. I modelli di imprenditorialità sociale intensivi di capitale, i nuovi schemi di finanziamento Pay-for-Results (=paga per i risultati) e di social public procurement (=appalti pubblici sociali), trainano la crescita di strumenti finanziari specializzati, che si reggono sulla capacità di misurare in modo quantitativo e affidabile, il valore sociale implicante non solo i valori quantitativi, ma anche qualitativi, cioè quelli che hanno a che fare con la persona, le etiche, i valori. Si è, dunque, alla ricerca di nuovi modelli di finanziamento per migliorare e innovare le politiche e i servizi sociali. In questo contesto l’innovazione sociale è vista sempre più come una leva per implementare nuovi modelli per combattere la povertà e la vulnerabilità sociale, promuovere l’inclusione sociale e favorire la partecipazione attiva dei cittadini nella progettazione di nuove politiche per lo sviluppo. Il concetto di innovazione sociale implica infatti la trasformazione sia del prodotto (servizi offerti), sia del processo (chi sono i fornitori di servizi e da dove provengono le risorse) al fine di migliorare sensibilmente la qualità della vita.
Perciò, ritengo che a tutto questo siano sottesi i due temi dell’inclusione sociale e dello sviluppo sostenibile.
Il tema dell’inclusione sociale è caro ai sociologi e agli economisti, ma anche alla Chiesa, giacché è contemplato nella sua dottrina sociale. Papa Francesco, nell’Evangelii gaudium ritiene il tema dell’inclusione sociale (insieme con la pace e il dialogo sociale) uno degli aspetti attuali cruciali e ci ricorda, che sarebbe ingenuo credere nella bontà e nel successo di “coloro che detengono il potere economico e nei meccanismi sacralizzati del sistema economico imperante” [1]. Anzi, una tale ingenua fiducia porterebbe ad una vera e propria globalizzazione dell’indifferenza, in palese antitesi con i suoi quattro verbi operativi e cioè: “accogliere, proteggere, promuovere e integrare”. Verbi che, incentivano logiche di inclusione soprattutto per i più poveri, che ormai sono gli “scartati” delle società consumistiche e materialistiche. Per gli aspetti di ordine strutturale, la nostra Italia risulta sempre in ritardo rispetto agli altri Paesi europei, perché siamo incapaci di agire su problemi come tempi e costi della giustizia civile e rapporto abnorme tra P. A., amministrazione della giustizia e mondo imprenditoriale. L’economia ha bisogno di tempi rapidi, che non sono certamente quelli della giustizia civile italiana, certamente più lenta di quella dei nostri partners. La nostra pubblica amministrazione rischia la paralisi perché la “macchina” è così farraginosa e complicata che i funzionari hanno paura di avviare e firmare le pratiche per timore di conseguenze legali. Siamo al paradosso di decine di migliaia di investimenti già finanziati, ma non cantierati o cantierabili. Per gli aspetti di ordine congiunturale, gli economisti ci dicono che globalizzazione e nuova rivoluzione tecnologica offrono grandi opportunità, ma solo per chi è in grado di salire sul treno dell’innovazione, della formazione professionale e delle competenze. Per i diversi aspetti della povertà -assoluta e relativa- in Italia si può fare riferimento ai dati Istat 2017, da correlare con il Rapporto Caritas 2018 [2]. Essi ci sottopongono la grave situazione dei poveri sul piano qualiquantitativo soprattutto di chi versa nella povertà estrema, di fatto escluso da ogni lavoro, dal reddito, dalla cura del corpo e della mente, dal welfare, insomma.
Gli strumenti fondamentali per includere i più bisognosi secondo la dottrina sociale della Chiesa, sono tre : l’istruzione, l’accesso all’assistenza sanitaria e il lavoro per tutti [3].
La genesi del welfare state. La teoria e la prassi di inclusione si realizzano meglio in contesti di welfare. L’etimologia di questa parola viene fatta risalire a “Well-doing or well-being in any respect”; letteralmente ben-fare o ben-essere sotto ogni profilo. Dal secondo conflitto mondiale si è diffusa l’espressione stato di benessere, (o welfare state), per indicare un ordinamento giuridico-politico, in cui i poteri pubblici si fanno carico di assicurare un certo livello di benessere economico, sanitario e sociale ai propri cittadini. Si configurano in tal modo i cosiddetti diritti sociali, che rappresentano una nuova generazione di diritti, dopo quelli umani e fondamentali, inseriti nelle Carte internazionali dei diritti umani e/o della dignità della persona. La Costituzione di Weimar fu nel 1919 il primo testo a normare i diritti sociali, ma è in Inghilterra, che si comincia a parlare esplicitamente di libertà dal bisogno. La nostra Costituzione, dichiara, l’obiettivo di rimuovere le disuguaglianze di ordine materiale tra i cittadini (art. 3). In particolare, per quanto riguarda i bisogni di terapia e di cura, l’art. 32 definisce il diritto alla salute come diritto che interessa, nel contempo, l’individuo e la collettività, la quale per salvaguardare il benessere generale, dispone per legge dei trattamenti sanitari obbligatori. In tal modo contrasta la povertà, garantisce l’equilibrio tra le varie fasce sociali, soprattutto, assicura la garanzia di un reddito in età avanzata ed in caso di invalidità, malattia e disoccupazione. Vanno in questa medesima direzione i provvedimenti del “reddito d’inclusione” e dell’attuale reddito di cittadinanza. Oltre a perseguire questi obiettivi prioritari, lo Stato sociale deve anche garantire le pari opportunità di genere e l’aumento e la diffusione del benessere, nonché assicurare le basi normative per una “partecipazione efficace” degli occupati al processo economico.
Solidarietà fa rima con fraternità. Nella visione cristiana è in questo senso, che welfare e solidarietà, fanno rima con fraternità, il cui principio si riflette, sia verso i “nostri” più poveri, sia verso gli stranieri quando ci chiedono aiuto, protezione, ed uguaglianza. Oggi ci si giustifica affermando che tante cose non si possono fare per mancanza di denaro, che però non manca per altre “necessità”. Per esempio per acquistare armi, per le varie guerre, per le operazioni finanziarie senza scrupoli. E, mentre questi argomenti vengono snobbati o taciuti, si torna a dichiarare che non ci sono risorse per creare lavoro, per investire in sapere, in ricerca, per progettare un nuovo welfare, per salvaguardare l’ambiente. Il vero problema non sono i soldi, ma le persone: non possiamo chiedere ai soldi quello che solo le persone possono fare o dare: per creare sviluppo occorrono persone preparate, con idee chiare e coraggio delle iniziative.
Un welfare sostenibile? Nella pericolosa attuale situazione di globalizzazione dell’indifferenza e di capitalismo tout court, un numero crescente di studiosi invita a pensare ad un welfare sostenibile, cioè capace di dare adeguate risposte ai bisogni sociali emergenti, a partire dai profondi squilibri demografici e occupazionali tipici del nostro Paese, che invecchia, dove si fanno sempre meno figli, dove si spreca il talento femminile, ed è un problema essere giovani perché sono soprattutto essi a riscontrare difficoltà a trovare lavoro per poi crearsi una famiglia; un Paese in cui la mobilità sociale è bloccata, e solo un disabile su cinque lavora; dove non si riesce più ad avere il potenziale economico per garantire a tutti, soprattutto ai più deboli, identici livelli di assistenza sanitaria. C’è un altro squilibrio che richiede soluzioni non più rinviabili: è quello delle donne impegnate nella cura dei figli e degli anziani, quelle che o fanno part time “involontario”, ovvero incontrano difficoltà ad accedere al mercato del lavoro e a fare carriera, ed anche quelle che sono costrette a lasciare il lavoro dopo la nascita di un figlio. Le principali cause del “problema sostenibilità”, oltre alla presenza di un debito pubblico spaventoso, che come una spada di Damocle, pende sulla nostra capacità di governo dell’economia nazionale, risiedono nei seguenti fattori: forte crescita della domanda di protezione sociale a seguito dei profondi mutamenti della società; aumento delle diseguaglianze; nuove povertà, provocate dai nuovi bisogni/nuovi rischi sociali che emergono nelle società avanzate (cambiamento dei modelli di lavoro, precarietà, esclusione sociale, vulnerabilità, famiglie monoparentali, le diverse percezioni dell’equità) eccetera. La logica conseguenza dei problemi di sostenibilità del sistema di welfare, in particolare nei settori delle pensioni e della sanità, sono ormai evidenti: diminuendo il numero di chi versa i contributi previdenziali, come saranno corrisposte le pensioni, attuali e future (compresi i redditi di cittadinanza)? Se il prelievo fiscale avverrà sempre più dal lavoro dipendente, (che rappresenta la quota maggiore dell’insieme del prelievo), come si affronteranno i costi della sanità? Se va avanti la tendenza al regionalismo differenziato (cioè non armonizzato), come si garantiranno i livelli minimi di assistenza (LEA) ai cittadini di ogni regione?
Conclusione. Mi vengono alla memoria alcuni versi di Lucio Anneo Seneca grande pensatore stoico romano: “La terra è un solo paese/ Siamo onde dello stesso mare/ foglie dello stesso albero/ fiori dello stesso giardino”. Questa terra, terra di Calabria, è un solo paese, connesso con tutti gli altri paesi della bella Penisola italica, con quella vecchia Europa e con tutti gli altri del Mare mortuum, un “mare morto”, qual è oggi il Mediterraneo, dalle cui sponde meridionali salpano i carichi di “carne umana” alla ricerca di approdi, mentre, dai nostri lidi migrano i giovani con l’intelligenza e la creatività, alla ricerca di un degno futuro. Qual è la terra, quale è il paese in cui fermarsi, perché ci si vive bene, in cui le principali decisioni riguardano i poveri e in cui non si tende a creare dei nuovi “scarti umani”? La stessa morte livellatrice – magari anticipata da norme che tuteleranno il suicidio assistito – non può essere l’ultima spiaggia per risolvere i nostri problemi. Possiamo e dobbiamo intelligentemente chiederci: quale futuro per l’inclusione sociale e il welfare sostenibile? Se l’innovazione sociale si basa anche sulla capacità delle persone di connettersi in reti e di identificare soluzioni condivise, in particolare a livello locale, attraverso il coinvolgimento non solo delle istituzioni pubbliche ma anche di attori privati e non profit, è indispensabile dialogare con le comunità e le parrocchie, luoghi in cui il pilastro europeo dei diritti sociali permette di discutere al meglio le prospettive future per il rinnovo dei sistemi di welfare, nella stagione del cosiddetto secondo welfare in Italia.
*arcivescovo della diocesi di Catanzaro-Squillace
 
[1] Francesco, Esortazione apostolica Evangelii gaudium, n. 54. Fonte: http://w2.vatican.va/content/francesco/it/apost_exhortations/documents/papa-francesco_esortazione-ap_20131124_evangelii-gaudium.html
[2] Caritas italiana, Povertà in attesa. Rapporto 2018 su povertà e politiche di contrasto in talia, Maggioli Editore, Santarcangelo di Romagna (Rn) 2018.
[3] Ivi, n. 192.

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