REGGIO CALABRIA Pneumatici, stivali in gomma, vecchie cucine, tanta tanta plastica e finanche un intero rottame di un’automobile. In fondo al mare nello splendido specchio d’acqua che divide la Sicilia dalla Calabria c’è veramente di tutto. Praticamente un’infinita discarica che ha compromesso l’ecosistema dei fondali di quello che dovrebbe essere uno dei paradisi subacquei più affascinanti dell’intero Mediterraneo.
Temuto dalle più antiche civiltà che hanno solcato le acque del Mare Nostrum per le sue forti correnti. Ed ora a preoccupare gli scienziati del Cnr e della Sapienza, che hanno effettuato ricerche nello Stretto di Messina scoprendo questa pattumiera subacquea, sono gli effetti che questa montagna di rifiuti potrebbe comporta per l’equilibrio dell’ecosistema marino.
Sono stati loro, secondo quanto riporta Repubblica, a rinvenire a profondità anche di mille metri rifiuti di ogni genere e specie provenienti dalle decine di fiumare che caratterizzano i territori della sponda calabrese e siciliana dello Stretto e portati lì dal movimento delle fortissime correnti subacquee presenti nella zona. «Mai avremmo potuto immaginare una cucina un chilometro sott’acqua», racconta a Repubblica Martina Pierdomenico, naturalista del Cnr. E dal loro studio pubblicato su Scientific Reports emerge che la densità di spazzatura nello Stretto di Messina è superiore di mille volte a censimenti simili effettuati sui macro-rifiuti dei fondali.
Grazie all’utilizzo di una telecamera i ricercatori hanno potuto scrutare più di 6 chilometri i fondali del mare fino a 600 metri di profondità, in quattro punti dello Stretto, due di fronte a Reggio Calabria e due sul versante siciliano, a una decina di chilometri a sud di Messina, a distanze di 1-2 chilometri dalla costa. E quello che hanno ripreso spiega sempre al quotidiano diretto da Carlo Verdelli, Francesco Latino Chiocci, docente di geologia marina alla Sapienza di Roma è impressionante: «Siamo partiti per studiare i rifiuti urbani sui fondali. Ne abbiamo trovati in quantità sbalorditive».
Per classificare e dare la dimensione di quanto visto i ricercatori hanno impiegato mesi. E considerando che la ricerca ha interessato solo una parte delle acque e non è riuscita a raggiungere profondità maggiori lo scenario resta comunque infernale. «Quattromila pezzi in tutto, solo fra quelli identificabili – racconta a Repubblica Martina Pierdomenico -. Quasi la metà ha dimensioni fra 10 e 50 centimetri. La concentrazione maggiore è sul versante siciliano, con un record di 200 rifiuti in 10 metri. Ma l’automobile era di fronte alla costa calabrese».
Secondo il loro studio il 52% della spazzatura è fatto di plastica morbida (sacchetti in primis), il 26% di plastica rigida, il 3% di materiali edili, il 2,5% di legno, il 2,4% di vestiti. Una discarica enorme che potrebbe essere di dimensioni ancora maggiori. Secondo quanto hanno potuto costatare i ricercatori romani, infatti, all’aumentare della profondità cresce anche la concentrazione di spazzatura. Secondo quanto emerso nel canyon che corre lungo lo Stretto di Messina ad oltre mille metri sotto al mare che probabilmente si concentra il grosso della discarica. Una profondità che i mezzi a disposizione dei ricercatori non sono riusciti a raggiungere e dove per la mancanza di luce e per la presenza di temperature più rigide è più facile che l’immondizia resterà lì sepolta per sempre. «Così la nostra epoca – chiosa amaramente il professor Chiocci – verrà ricordata come l’epoca della geo-monnezza».
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