LAUREANA DI BORRELLO «Se il lavoro, nel carcere di Laureana di Borrello, assolve certamente al compito di favorire la rieducazione del condannato e il suo reinserimento sociale, si discostano invece dai principi costituzionali le prestazioni sanitarie assicurate alle persone detenute, che risultano nei fatti fortemente carenti».
È quanto riportato in un comunicato della “sezione calabrese dell’Osservatorio sulle condizioni di detenzione dell’associazione Antigone” dopo la visita alla struttura penitenziaria del reggino dello scorso 8 aprile.
Ad ispezionare l’istituto – nato come casa di reclusione sperimentale nel 2004, è stato convertito in istituto a custodia attenuata nel 2016 dopo una contestata chiusura ed una conseguente mobilitazione popolare per la riattivazione – sono stati incaricati gli avvocati Francesco Alessandria, Brunella Chiarello e Giuseppe Chiodo. Ad accoglierli, quattro detenuti di rientro dall’attività di pubblica utilità svolta per il comune di Laureana. «Le ampie aree verdi – si legge ancora – attrezzate per i colloqui e l’imminente installazione di Skype allo stesso fine contribuiscono a rendere subito evidente lo “spirito” di questa struttura. Qui il lavoro rappresenta indubbiamente un elemento fondamentale di un trattamento penitenziario concertato con la persona detenuta, che gli consente di vivere la reclusione in modo umano e dignitoso».
L’ICAT di Laureana rappresenta, in tal senso, una delle poche strutture nell’intero panorama nazionale, attrezzate al fine di garantire un trattamento penitenziario che possa correttamente adempiere alla sua funzione “rieducativa” come prescive l’art.27 della Costituzione. Tuttavia – aggiunge l’associazione – « L’impegno profuso dalla Direzione e dal personale per fare dell’ICAT di Laureana di Borrello un “modello” nel trattamento penitenziario fa quotidianamente i conti con una presenza a singhiozzo dell’ASL, che si manifesta nelle forme di un’assistenza medica erogata per sole 18 ore settimanali. Si registrano, inoltre, preoccupanti problemi di gestione legati ai trasferimenti dei detenuti verso i più vicini presidi ospedalieri, anche per un semplice malore o per una visita specialistica. L’assenza in loco di un nucleo traduzioni della Polizia Penitenziaria aumenta, se possibile, le complicazioni.».
Viene inoltre constatato come le aree interne destinate all’assistenza sanitaria avanzata, pur dotate di alcuni strumenti diagnostici, risultano chiuse, perché mai utilizzate per l’assenza di personale idoneo e soffrono di una cronica scopertura, paradossalmente, anche il settore educativo e la Polizia Penitenziaria: «quanto al primo, stupisce che in una struttura così peculiare, che – letteralmente, attraverso un “Patto di responsabilità” – fonda il proprio trattamento penitenziario sulla cooperazione del detenuto alle iniziative che gli vengono offerte, siano in servizio solo due educatori. La seconda può contare su 21 unità a fronte delle 37 previste nella pianta organica, di cui appena 16 assegnate e 5 in distacco; manca, inoltre, la presenza stabile di una figura di comando, alla quale si tenta di sopperire con l’istituto della missione».
Problemi, questi, cruciali nell’analisi del delicatissimi temi del sovrafollamento carcerario e quello speculare del trattamento penitenziario.
« Trasformare la pena in un’occasione di cambiamento è una sfida importante da vincere: è questo il principale messaggio che viene fuori dall’istituto di Laureana di Borrello. Tuttavia, un carcere che non può garantire il diritto alla salute alla persona detenuta è lontano dall’esecuzione penale per come disegnata dalla carta costituzionale e dalla legge. Questo deve essere garantito a tutti, soprattutto in quei contesti in cui la persona, per l’ovvia privazione della libertà personale, non ha la possibilità di spostarsi nelle regioni più virtuose per curarsi», è quanto rimarca l’associazione auspicando che l’Asl 5 e l’amministrazione penitenziaria possano venire a capo di queste problematiche e predisporre tutte le azioni e cautele necessarie a salvaguardare e garantire, anche in termini di maggiore umanità, il percorso di reinserimento sociale dei detenuti.
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