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La faida tra i Mancuso e l'agguato del 2003. «Nessuno può farla franca»

Un omicidio di 16 anni fa al centro dell’inchiesta che ha portato all’arresto di quattro esponenti di vertice della ‘ndrangheta vibonese. Ciccio “Tabacco” pretendeva il pizzo da un panificio ricond…

Pubblicato il: 12/04/2019 – 13:49
La faida tra i Mancuso e l'agguato del 2003. «Nessuno può farla franca»

di Alessia Truzzolillo
VIBO VALENTIA «Stiamo pensando anche al passato». Il messaggio del procuratore Nicola Gratteri – nel corso della conferenza stampa sugli arresti di quattro esponenti di spicco della cosca Mancuso accusati di un omicidio e un tentato omicidio risalenti al 2003, qui la notizia – è chiaro e inequivocabile: ogni caso è importante, anche quelli risalenti nel tempo, quelli che si credeva ormai ammantati dall’oblio e per i quali i responsabili giravano liberi e indisturbati, sicuri di averla fatta franca. È il simbolo di una nuova gestione delle indagini la risoluzione dell’agguato che costò la vita a Raffaele Fiamingo e portò al ferimento di Francesco Mancuso, avvenuto a Spilinga il 9 luglio del 2003, davanti a un panificio dal quale le vittime pretendevano il pizzo.
L’ERRORE FATALE Ma il panificio era riconducibile ad Antonio Prenesti, braccio destro del boss Cosmo Mancuso. Questo l’errore fatale – che ha dato il nome all’indagine condotta dalla Squadra Mobile di Vibo con l’ausilio dei colleghi di Catanzaro –, la scintilla che ha innescato una faida interna alla stessa famiglia Mancuso, cosca di Limbadi egemone nel Vibonese, e ha portato, per la prima volta – ha sottolineato il capo della Mobile di Vibo, Giorgio Grasso – un boss, in questo caso Cosmo Mancuso, a dare l’autorizzazione a sparare contro un altro elemento di spicco, suo nipote Francesco detto “Tabacco”. Francesco – ha spiegato il capo della Mobile di Catanzaro Marco Chiacchiera – era irriverente e poco rispettoso delle regole, non versava i soldi nella bacinella del clan, non rispettava limiti di territorio. Il mandante è, secondo l’accusa, Cosmo Mancuso, direttore e organizzatore dell’articolazione della famiglia facente capo a Luigi Mancuso. Co-esecutore dell’agguato, Giuseppe “Peppone” Accorinti, referente di zona per la cosca Mancuso a Spilinga che ha accompagnato sul luogo del delitto gli esecutori materiali ovvero Antonio Prenesti e Domenico Polito i quali hanno esploso contro le vittime diversi colpi di pistola calibro 9×21 e calibro 32, ferendo mortalmente Raffaele Fiamingo alle gambe e al torace. Si salvò Francesco Mancuso il quale, ferito gravemente, prima girovagò in cerca di un medico compiacente, una soluzione alternativa per curarsi, ma fu infine costretto ad andare in ospedale. Interrogato “Tabacco” cercò di sviare le indagini affermando di essere stato colpito in un luogo diverso da quello in cui era avvenuto l’agguato. «Generalmente – ha spiegato Grasso – a fronte di conflitti fra le varie fazioni, chi doveva essere colpito erano i soldati, non i capi. In questo caso, però, era stato commesso l’errore fatale da parte di “Tabacco” e di Fiamingo di andare a chiedere il pizzo a una persona che rappresentava il braccio destro, il braccio armato e operativo di Cosmo Mancuso, ossia Antonio Prenesti».
RIAPERTURA DELLE INDAGINI Sull’omicidio vi era un decreto di archiviazione da parte del gip. Come ha sottolineato Vincenzo Nicoli, dirigente dello Sco, su input del procuratore Gratteri è stato ottenuto un decreto di autorizzazione per la riapertura delle indagini. Le indagini sono ripartite avvalendosi di una massiccia attività di intercettazioni ambientali e telefoniche. Le prove sono state poi puntellate dalle dichiarazioni dei collaboratori di giustizia. «La risoluzione di un fatto di sangue così grave – ha detto Nicoli – è un messaggio per coloro che credono di poterla fare franca e di dettare le regole sul territorio».
GLI INVESTIGATORI GUARDANO ALLA CALABRIA In più l’operazione “Errore fatale” è indicativa dell’inversione di trend che sta portando oggi investigatori e magistrati a rivolgere interesse professionale verso la Calabria, «verso una realtà investigativa d’avanguardia», ha affermato Nicoli. «Questa operazione si realizza a poche ore di distanza da un’altra operazione che ha visto protagonisti gli stessi uomini che oggi sono accanto a me – ha detto il questore di Vibo Andrea Grassi riferendosi all’inchiesta “Rimpiazzo” –. Sono fiero di essere il questore di Vibo Valentia perché qui ci sono risorse per lavorare. L’operazione di oggi, pochi giorni dopo quella che ha smantellato la cosca dei “Piscopisani”, colpisce il cuore dei Mancuso». «Tutto questo – ha aggiunto il questore Grassi – grazie agli uomini ed alle donne della Polizia di Vibo Valentia e di Catanzaro e dello Sco. E grazie alla Procura antimafia di Catanzaro diretta da Nicola Gratteri».
«Sono stati arrestati e indagati i vertici della famiglia che comanda il battito cardiaco di Vibo Valentia, di alcune zone del territorio nazionale ed è riconosciuta anche in Sud America – ha ribadito il procuratore Gratteri –. Oggi su Vibo ci sono tre sostituti procuratori della Dda: Antonio De Bernardo, che ha firmato questa indagine, Annamaria Frustaci e Andrea Mancuso». «Riesumare un caso così grave e datato per portarlo a processo per chiedere l’ergastolo per gli imputati non è cosa da poco, è il simbolo di un target di indagine alto. È importante, in termini di credibilità, per ridare fiducia ai calabresi, per inviare un messaggio chiaro: calabresi, non avete più alibi, se volete, avete con chi parlare». (a.truzzolillo@corrierecal.it)
https://www.youtube.com/watch?v=Yp1mwTSKtP8&feature=youtu.be&fbclid=IwAR0bu1m8Bclgv8yDbHrV4GzZ1dDgcnzFVWMNa4Lu2jy9yL-EjwpzlySmjEg

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