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«I Rom, prigionieri di identità presunte»

di Maurizio Alfano*

Pubblicato il: 16/04/2019 – 11:05
«I Rom, prigionieri di identità presunte»

Nessuno finora negli ultimi quarant’anni ha fatto meglio di Ceausescu in termini di politiche attive e di strategie di inclusione a favore dei Rom, e questo è un fatto. Un fatto duro ma, altrettanto vero che restituisce da solo quanto evanescenti siano state finora le politiche d’inclusione propugnate nel nome dell’emancipazione dei Rom, e dall’Ue da una parte, e dai singoli Stati dall’altra, che altro non fanno, all’interno di presunti progetti pro Rom, (ri)produrre in una catena di montaggio degli stereotipi, i Rom come gli indesiderati del terzo millennio. Si impiegano addirittura risorse economiche in abbondanza per una comunità di minoranza (tutta la popolazione Rom presente in Italia è inferiore agli abitanti dell’ottavo municipio di Roma) che concludono però, nella riattivazione di neo processi di (ri)confinamento sociale e razziale, e non altro. Per fortuna, nonostante la complicità anche di gran parte del modo del privato sociale, che è cosa diversa dal mondo delle reti informali e del volontariato, e di politiche pubbliche scellerate, appaiono sempre più stagliarsi all’orizzonte nella costruzione delle società del terzo millennio, talune comunità meticce che recuperano come parte integrante al loro funzionamento interno l’identità proprio di uomini e donne Rom. Comunità meticce ora sotto attacco da una comunicazione istituzionale che ha sdoganato la possibilità materiale di potersi (ri)creare un nemico e come tale avversarlo, discriminarlo, imputarlo a zingaro – dunque non simile al resto della comunità. Questo nella direzione che gli unici che possono offrire un’identità ad una nazione sono i nemici e su questo versante la polita attuale individua proprio nei Rom e nei migranti i nemici da respingere. I fatti di Torre Maura e Casal Bruciato a Roma, ne sono un segnale evidente che rimarca il nostro essere distanti dalle condizioni degli altri, ancor più poi, se si tratta di zingari.
Tra questi opposti epigoni la presenza delle comunità Rom è ancora analizzata attraverso categorie interpretative talvolta poco adeguate a rappresentare le motivazioni che le stesse maturano prima di partire per l’Italia, confinate poi, giunte tra noi, in dispositivi di leggi quasi mai aderenti alle continue evoluzioni che le migrazioni invece pongono, diventando queste, prigioniere di identità presunte, impedendo loro di potersi manifestare ed affermare indipendentemente da pregiudizi. In questo spazio che si crea tra non conoscenza, razzismo istituzionale e confinamento sociale da una parte, e quello degli strumenti legislativi poco utili a dipanare la quotidianità delle discriminazioni dall’altra, si incunea un inedito modello di confronto capace di creare soluzioni tra le diverse parti in causa: la comunità degli stranieri e degli autoctoni che si incontrano dentro un meccanismo regolatore non soltanto solidaristico, ma sempre più, anche economico, ridisegnando i tratti di una comunità cosmopolita. Ma chi sono i Rom? Ci siamo mai posti questa prima domanda? Conosciuti come Gypsie dagli inglesi, Zigeuner dai tedeschi, Tsigenes dai francesi, Tigani dai romeni, Cigany dagli ungheresi – denominazioni provenienti dal greco Aighypoti che significa “intoccabili” diventano persone da cui è meglio stare a distanza, mentre erano intoccabili poiché ritenuti in Oriente destinatari delle elemosine davanti ai templi. Così a partire da questa prima errata interpretazione si giustificano negli anni i campi di confinamento sociale, le discriminazioni, le vessazioni, così in una sola parola, si giustifica la vita che noi abbiamo nel tempo e nello spazio, costruito in danno di popolazioni un tempo nomade, come altre, che non hanno però avuto medesimo e fatale epilogo, come quello che ha noi appare ovunque si mostri, quando si parla di Rom ancora oggi. Ma ciò che si narra sul popolo Rom, spesso non ha riscontro alcuno, e difatti ciò che normalmente si dice, che, con altrettanta normalità si accetta, è pari alla convinzione che le loro condizioni di vita, altro non siano che il frutto delle loro – libere – scelte. Una sorta di spazio di libero arbitrio dentro il quale avrebbero scientemente deciso di vivere in uno stato di precaria cattività. Di contro, una delle altre domande da porsi sarebbe: la scenografia urbana nella quale sono stati immersi e resi invisibili in ogni angolo d’Europa, come nel resto del mondo, milioni di Rom, la consuetudine dei campi, l’isolamento dalle comunità maggioritarie, la bassa scolarizzazione, la quasi totale assenza di un lavoro regolare, è una scelta, o una conseguenza di secoli di costrizioni, retaggi e pregiudizi? Cercano l’isolamento, o sono in maniera sistematica esclusi da ogni possibile e qualsivoglia contatto con gli altri diversi da loro perché atavicamente ritenuti sediziosi, dunque etnicamente pericolosi? Interrogativi questi, tutto sommato, superficiali con riferimento alla profondità dei pregiudizi che si accatastano l’uno sull’altro, quando trattiamo di questioni Rom, delle loro origini storiche. Medesime convinzioni poi, avevano gli americani d’inizio secolo scorso proprio su gli italiani. Identiche. Le catene migratorie dei Rom poi, come quelle degli italiani di un secolo fa appunto, sono l’evidenza di un popolo che esiste e (r)esiste malgrado le condizioni di esclusione che ogni giorno le società ospitanti generano come anticorpi nei loro confronti. La prigionia di un’identità presunta, condizione nella quale sono costretti a vivere migliaia di persone, riproduce errori ed orrori in nessun modo più tollerabili che allontanano le persone da una delle condizioni più naturali queste si, scolpite proprio nella natura di ogni persona, che è quella, di affermare ognuno la propria soggettività. Quello che si consuma in danno dei Rom ovunque presenti, è in sostanza il razzismo degli ultimi di cui noi siamo stati più volte nella storia destinatari che non suscita più riprovazione alcuna, peggio alimenta forme di razzismo biologico a tratti inedite, come le rivolte in loro danno anziché nei confronti di chi genera guasti sociali contro ogni ultimo che non sono mai solo i Rom. Ma questo appare ancora ai più, ovvero ai discendenti di quegli italiani chiamati in America – negritudine – poco o per nulla comprensibile.

*Ricercatore e studioso dei fenomeni migratori

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