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«Regionalismo differenziato e nuovo meridionalismo»

di Jole Santelli*

Pubblicato il: 17/04/2019 – 11:09
«Regionalismo differenziato e nuovo meridionalismo»

La perfetta analisi svolta da alcuni giornali nazionali sulle differenze macroscopiche tra Nord e Sud e sull’incapacità di spesa dei fondi europei merita una riflessione, oggi quanto mai attuale in presenza di un Governo che sembra avere tutto l’interesse ad aumentare questa demarcazione. Le capacità di espressione del Pil sono inversamente proporzionali al Nord e al Sud con una differenza del 50%. Tutto questo porta ad un gettito fiscale ovviamente differente ma, è questo il punto che il suo giornale ha tracciato, ad una spesa storica che traccia un solco tra noi e il Settentrione.
Prendiamo ad esempio la sanità, spesso utilizzata come elemento scriminante, e ci accorgiamo che il fabbisogno standard di cui si è spesso parlato è una enorme bugia.
La media di assegnazione pro capite, per persona, è superiore di circa 300 euro nel confronto tra Veneto e Calabria. Per spiegarci ancora più semplicemente, un cittadino veronese riceve come dotazione annuale trecento euro in più di uno catanzarese. Già questa, tecnicamente, è una violazione del principio costituzionale dell’uguaglianza nell’accesso ai servizi.
Un principio che è maturato dal fattore di spesa, che non è stato mai corretto in termini perequativi. Invece che avere uno Stato centrale capace di stabilizzare le discrasie territoriali si è assistito al fenomeno per cui chi spendeva di più ha avuto di più.
E la sanità meridionale, non prescindendo dalle nequizie di chi l’ha amministrata in loco, è stata in massa commissariata, mentre avrebbe raggiunto l’autosufficienza se la dotazione del FSN fosse stata ispirata da principi di equità.
Questa profonda discriminazione in chiave di distribuzione delle risorse ordinarie rischia di acuirsi ulteriormente con il progetto di regionalismo differenziato che, lungi dall’essere uno strumento di autonomia controllata, si presenta esattamente come un incremento della divaricazione tra macro Regioni. E qui si vanno a toccare servizi ugualmente primari, come quello scolastico, che porterebbero di fatto alla istituzionalizzazione di due Italie.
L’altro aspetto dolente è quello dello scarso utilizzo dei fondi europei, la cui percentuale irrisoria ci insegna come l’approccio sistemico sia completamente sbagliato.
È impensabile perdere 60 miliardi di euro, tra i fondi strutturali, per l’insipienza delle Regioni.
La filiera procedurale di accesso ai fondi è, in alcuni casi, in molti per la verità, concepita per far saltare qualsiasi progetto.
Le voci di spesa sono innumerevoli, dalla depurazione alla infrastrutturazione, dal dissesto idrogeologico alle grandi opere su ferro.
Le Regioni, anche in questo caso, continuano a fare gestione e i risultati sono una conseguenza.
Manca una politica della coesione che sappia realmente accompagnare la spesa. Se pensiamo ai dati dell’export, segmento di possibile espansione economica, ci rendiamo conto di quanto tempo sia stato perso.
Chi ambisce a governare le Regioni del Sud deve avere chiara questa bussola che passa dalla semplificazione. Sia l’uno che l’altro argomento ci pongono dinanzi una nuova questione meridionale, da affrontare con spirito di modernità, non rimuovendo dal dibattito i grandi limiti della classe dirigente del Sud, ma non dimenticando che il progetto politico esistente a livello centrale rischia di mettere definitivamente in ginocchio il Mezzogiorno.

*Deputato, coordinatore regionale Forza Italia Calabria

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