di Sergio Pelaia
VIBO VALENTIA Raffaele Moscato è ancora giovane ma ne ha già viste tante. Così tante che a 32 anni gli capita di rimanere paralizzato nel letto, di notte, e di pensare che quello che gli succede sia dovuto al male che ha provocato, che siano le anime che ha sulla coscienza a impadronirsi di lui e a bloccare il suo corpo. A marzo del 2015, poche ore dopo il suo arresto, ha deciso di pentirsi e di raccontare quello che ha vissuto e saputo negli anni in cui è stato un componente della “società maggiore” di Piscopio. Nei suoi verbali, pieni zeppi di omicidi, traffici, estorsioni, rapine, ricatti e legami inconfessabili, si legge anche dei momenti di buio che lui vive solo oggi e che non lo sfioravano nemmeno quando era uno dei Piscopisani. «Lo sapete che cosa mi capita? È una cosa che devo parlare col prete… Quando sono a letto, mi sento che mi blocca il corpo e gli occhi e non ce la faccio nemmeno a muovermi e a parlare. E queste qua sono le anime che hai fatto del male che vengono dentro di te». Delle anime di cui parla Moscato ce ne sono tante, nel Vibonese. Non pesano certo tutte sulla sua coscienza, ma sono pur sempre anime di ragazzi diventati pedine, spesso inconsapevoli, in mano a registi che puntualmente li sacrificano sull’altare del loro potere.
TUTTO CAMBIA CON LA FAIDA Quello dei Piscopisani era un clan emergente, composto da giovani, spietati e decisi a prendersi tutto. E si stavano prendendo tutto, a Vibo e nelle Marinate, almeno fino al 2011. Poi è arrivata la guerra, lo scontro sanguinoso con i Patania di Stefanaconi, e la loro vita è cambiata. Moscato lo fa capire quando racconta che alla sua fidanzata, che si lamentava perché in quel periodo non lo vedeva mai, disse che aveva «qualche problemino di lavoro», e spiega che da quel momento in poi nemmeno trafficare con la droga era stato più tanto facile.
GLI INTRECCI CON L’ENTROTERRA Ma la geografia mafiosa della provincia va ben oltre i paesi e le frazioni alle porte di Vibo, così quella faida si intreccia con altre dinamiche che dalle colline del Poro passano per il capoluogo e arrivano nell’entroterra. Negli stessi anni, dopo un decennio di pace, il sangue torna a scorrere sulle colline delle Preserre e un altro locale di ‘ndrangheta, quello di Ariola di Gerocarne, viene attraversato da una nuova ondata di omicidi. Da una parte ci sono i Loielo, i discendenti dei fratelli Pino e Vincenzo uccisi nell’aprile del 2002, dall’altra gli Emanuele, capeggiati dai fratelli Bruno e Gaetano. In mezzo una lunga scia di omicidi e tentati omicidi che le parole del Piscopisano pentito potrebbero contribuire a risolvere.
L’EVASIONE DI BRUNO EMANUELE Moscato parla della faida delle Preserre, la mattanza dei ragazzi che abitano a pochi passi di distanza l’uno dall’altro e che si dividono tra i Loielo e gli Emanuele. Il pentito racconta di ciò che ha appreso nell’ambiente. Loro, i Piscopisani, erano legatissimi agli Emanuele e più volte hanno provato a pianificare l’evasione del boss Bruno. Andava liberato al più presto, perché «se gli davano il 41 bis non lo prendevamo più». A Piscopio andava sempre una persona molto vicina al boss degli Emanuele, c’erano state «decine di incontri» e si era pensato di far evadere il boss durante uno spostamento per un processo che si teneva a Cosenza. Ma poi, tra arresti e condanne, non fu possibile portare a termine il piano.
LE VEDETTE COL BINOCOLO Nei paesini delle Preserre non è come a Vibo, là «si sa tutto». Tanto che «a Soriano e Gerocarne – racconta Moscato – ci sono sempre persone appostate con i binocoli e magari pizzicano quando ci sono delle cimici e pizzicano quando mettono delle telecamere». Sott’occhio ovviamente non vanno tenuti solo i movimenti delle forze dell’ordine: le vedette col binocolo stanno lì anche «per guardare gli spostamenti dei nemici».
GLI AGGUATI E I REGISTI Il pentito parla di alcuni degli agguati costati la vita a giovani esponenti delle due fazioni in guerra nel territorio di Soriano, Sorianello e Gerocarne. In alcuni casi, nelle dichiarazioni ancora coperte da omissis, indica quelli che a suo parere sono i mandanti di alcuni omicidi e in un caso racconta anche di aver ricevuto lui stesso la proposta di partecipare a un agguato contro il rampollo di un clan. I Piscopisani e gli Emanuele si scambiavano i favori. I Loielo e i Patania seguivano i “consigli” di Pantaleone “Scarpuni” Mancuso. E con il sangue versato di tanti ragazzi si cementava la volontà di conquistare (o mantenere) il potere sui territori vibonesi. (s.pelaia@corrierecal.it)
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