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«Politica tra slogan e impegni disillusi»

di Franco Scrima*

Pubblicato il: 23/04/2019 – 10:40
«Politica tra slogan e impegni disillusi»

Ma non era: «Prima gli italiani?» Non era questo il detto coniato da Salvini quasi a voler giustificare il suo ostracismo nei confronti degli immigrati che mettono a rischio la vita sfidano il mare per raggiungere l’Italia?
Questo amore, quasi viscerale, che il ministro dell’Interno dimostra per il Paese, è postumo alle adunate barbariche di Pontida rivelatesi un pretesto per fomentare odio e giustificare il progetto di autonomia della Padania. Un disegno mai sopito come dimostrano le richieste avanzate dalla Lombardia, dal Veneto e dall’Emilia Romagna che però contrastano con il tentativo leghista di volersi trasformare in partito nazionale.
La vicenda è stata raccontata da “Report”, il programma di Rai 3 nella edizione di lunedì della scorsa settimana. In quella trasmissione si è parlato delle divise d’ordinanza delle Forze dell’ordine, quelle stesse con le quali Salvini ama presentarsi spesso in pubblico. La manifattura di quegli abiti non è più italiana, vengono confezionate in Romania dove negli ultimi anni sono state delocalizzate diverse società manifatturiere le quali avrebbero triplicato il fatturato grazie ai vantaggi che quel Paese offre. Peraltro in Romania lo stipendio di un operaio è di circa 290 euro al mese. Ma l’Italia continua a pagare le divise pressappoco agli stessi prezzi di prima. Ciò dà la misura di quanto sia labile, se non pretestuoso, quel «prima gli italiani» che secondo Salvini doveva essere la salvaguardia dei diritti fondamentali quali il lavoro, la sicurezza, il benessere. Tutte cose che, secondo il ministro dell’Interno, sono minacciate da quegli uomini, da quelle donne e da quei bambini che cercano di raggiungere il nostro Paese mettendo a repentaglio la loro vita pur di raggiungere la meta che può significare il bisogno di sfamare le loro famiglie.
Quelle popolazioni hanno conosciuto gli italiani verso la fine del XIX secolo, quando Mussolini ha pensato di allargare le colonie italiane in Africa. Occupò la Tripolitania e la Cirenaica dando vita alla colonia della Libia Italiana; poi toccò all’Abissinia. Conquiste che finirono con la seconda guerra mondiale. All’Italia fu tolto “l’Impero” africano ad eccezione della Somalia che le fu lasciata in protettorato fino al 1960.
Ci chiamavano “cugini” perché ci consideravano i “parenti” ricchi e forti di cui potevano fidarsi. Pensavano che sarebbe stato facile ricevere accoglienza e solidarietà, sapendo peraltro che per decenni migliaia di nostri connazionali si erano trovati nelle loro stesse condizioni. Magari non hanno letto le cronache degli anni ’50 e ’60 ma qualcosa è stata loro raccontata. Così hanno scoperto che una moltitudine di italiani ha attraversato gli oceani nella speranza di trovare un lavoro. Frotte di disperati come loro, che si sono recati in America, in Argentina, in Canada, in Australia per non parlare delle colonne umane che si ammassavano sulle vetture di terza classe per oltrepassare i confini con la Svizzera, con la Germania, con la Francia, con il Belgio. E non erano solamente, per dirla con la Lega, i soliti “meridionali morti di fame” a lasciare l’Italia, c’erano anche i veneti accomunati dalla stessa sorte. E oltre i confini li attendevano gli stessi luoghi e il medesimo trattamento: baracche di legno, in dieci per camerata, nessuna garanzia di un posto di lavoro, senza assistenza sanitaria. Tutti sottopagati quando riuscivano a trovare qualcosa da fare. Costretti a turni massacranti, anche di dodici ore al giorno. Nessuno si lamentava pur di garantire un tozzo di pane alle loro famiglie. 
Tra il 1955 e il 1970 furono oltre un milione e mezzo gli italiani che decisero di trasferirsi nel Nord dell’Europa o di attraversare l’Oceano. Molti di quei lavoratori fecero ritorno in patria chiusi in una bara di legno: 139 persero la vita lo stesso giorno, nella miniera di Marcinelle, in Belgio.
Forse i più anziani hanno dimenticato quegli anni; i più giovani non hanno mai saputo di quali sacrifici sono stati capaci i nostri connazionali espatriati e le loro famiglie rimaste in Italia. La conoscenza di quelle pagine di storia farebbe in modo che tutti ci ponessimo con un atteggiamento diverso, meno sprezzante, forse più accondiscendente verso quei disperati considerati stupidamente “diversi” per il colore della pelle.
La maggior parte di quei giovani diventano preda del “caporalato”, sfruttati alla stregua degli animali da soma, quando non manovalanza della delinquenza organizzata; costretti a vivere in baracche senza acqua, senza servizi, senza di che scaldarsi. Reietti, respinti, non accettati dal nostro mondo che si dice civile, oggetto di una vergognosa discriminazione. 
Ecco di cosa dovrebbe occuparsi il Governo, ma in quella sfera di “grandi uomini politici” si teme che comportamenti di questo tipo non facciano capitalizzare successo nelle urne. Meglio osteggiare l’immigrazione, come fa Salvini. Anche se da qualche giorno il segretario della Lega ha ben altro cui pensare. La scena gli è stata rubata da uno dei suoi uomini preferiti, il sottosegretario ai Trasporti Armando Siri che risulta indagato per corruzione. E quando c’è la magistratura di mezzo, la cronaca insegna che è meglio fare il vuoto attorno a chi si trova in difficoltà, e non solo, anche a chi ha la responsabilità politica del partito. Dunque la Lega sembra avviata a ridimensionare la sua popolarità. Se prima, infatti, era semplicemente difficoltoso accreditarsi come forza del cambiamento, adesso diventa particolarmente difficile. Persino i rapporti tra Lega e 5 Stelle sembrano alleggerirsi. Sarà un caso ma finalmente sembra che il Pd si stia interessando ai “Grillini”. Potrebbero essere segnali di apertura al dialogo?
*giornalista

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