RENDE «Con la cultura si vince il “futtitinni”, girare la testa non serve». Fiammetta Borsellino ai liceali di Rende parla senza censura. Dai racconti intimi di suo padre alle convinzioni giudiziarie che ha maturato nei 27 anni trascorsi da quell’omicidio che nella memoria collettiva viene ricordato come “strage di via D’Amelio”. Cita i collaboratori di giustizia che hanno permesso di riaprire il caso della morte del magistrato e di iscrivere nel registro degli indagati altre persone con l’accusa di depistaggio. La Sicilia nelle parole della figlia di uno degli uomini simbolo alla lotta contro la criminalità organizzata sembra lontana mille miglia, ma dalla Calabria la dividono soltanto tre chilometri di mare. «Tutti ricordano che a sparire sia stata la famosa agenda rossa di mio padre –dice –, ma sparirono anche i tabulati telefonici da cui potevamo risalire alle sue ultime conversazioni». E se i ricordi intimi di famiglia non bastano, Fiammetta Borsellino nello spiegare il depistaggio organizzato subito dopo la morte del padre usa un linguaggio semplice, impossibile da non capire. «Avete presente una partita di calcio? Tutti rincorrono un pallone e seguono le regole degli arbitri – dice agli studenti rendesi –. Il depistaggio invece funziona così: nella stessa partita qualcuno dall’esterno manda in campo un pallone che non è quello ufficiale, allora i giocatori smettono di rincorrere il pallone da gioco ed iniziamo ad usare l’altro, il tutto chiaramente sotto l’occhio attento e vigile dell’arbitro di gara». Definisce un «grande inganno» i racconti del “pentito” Vincenzo Scarantino, sconfessato solo nel 2008 dai verbali di Gaspare Spatuzza. Si abbandona con parole forti al contrasto agli uomini dello Stato che lavorano contro lo Stato ma non per questo propone come soluzione di lotta la sfiducia. «Gli uomini che vanno contro gli interessi della collettività sono ovunque, ma non per questo noi dobbiamo smettere di avere fiducia nelle istituzioni. Però – aggiunge – abbiamo un altro compito: stare vicino a chi si impegna per ristabilire la legalità. Mio padre è morto anche perché è stato lasciato solo. Provava a creare dei pool antimafia e qualcuno glieli smontava, anche un passo carrabile davanti casa sembrava essere una richiesta fuori dal comune. Ma a noi lo ripeteva sempre: “La mafia mi ucciderà solo quando gli altri glielo permetteranno”».
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La visita di Fiammetta Borsellino in Calabria (prima degli studenti rendesi aveva incontrato gli universitari del corso di Sociologia di Catanzaro) è stata organizzata dalla onlus Yairaiha presieduta da Sandra Berardi. E se la missione di Fiammetta Borsellino è dare un nome ed un cognome certo ai mandanti e assassini di suo padre ed individuare chi in questi anni ha fatto in modo che non si arrivasse alla verità, è facile intuire come tutto possa mescolarsi in quelle che sono le decisioni di politica giudiziaria. Non è un caso che un ruolo decisivo nell’intera vicenda venne ricoperto dal finto pentito di mafia Scarantino. Un passaggio, quello sui collaboratori di giustizia, che ha ricordato nel suo intervento anche il sindaco di Rende Marcello Manna, che di professione è avvocato penalista. «Un processo ingiusto, determina pene ingiuste – sottolinea Sandra Berardi –, per questo motivo noi che tuteliamo i diritti dei detenuti abbiamo voluto che si parlasse di ciò che è successo a via D’Amelio ed anche delle conseguenze in termini di risultati giudiziari con uomini costretti al carcere duro dopo un procedimento falsato da dichiarazioni poi sconfessate». Oltre al sindaco di Rende, all’incontro ha partecipato anche Maurizio Nucci, presidente della camera penale di Cosenza, l’assessore comunale alle pari opportunità Marina Pasqua ed il docente Unical Ciro Tarantino. (mipr)
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