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«Una sanità debole rende fragile l’autonomia regionale»

di Franco Scrima*

Pubblicato il: 06/05/2019 – 8:01
«Una sanità debole rende fragile l’autonomia regionale»

Marco Travaglio nell’editoriale di venerdì scorso si è chiesto provocatoriamente se esiste l’opinione pubblica. Lo ha fatto a proposito di chi dovrebbe insorgere per come viene informato sul caso del sottosegretario Siri e non lo fa. Quel mondo cioè che se ne impipa dei fatti e parla e giudica secondo convenienza.
Leggendo il direttore del “Fatto” mi sono posto la domanda se la considerazione del direttore fosse calzante anche con le vicende di casa nostra, quelle che riguardano, ad esempio, la Sanità. Se anch’essa non fosse un segnale per indurre la politica a cambiare verso e a prendere le distanze da una gestione che, secondo una consistente parte di calabresi, non solo avrebbe favorito il sistema clientelare, ma avrebbe anche compromesso il diritto alla salute di una popolazione costretta ad accettare una condizione a dir poco carente. E chi dovrebbe garantire in tal senso non si rende conto che una sanità debole rende debole l’autonomia della Regione fino a ridurla a mera esecutrice di disposizioni. Dopotutto non è questa la chiave di lettura che si dà del “Decreto Calabria”? La Sanità non è stata affidata a due delegati del Governo? Sarà, dunque, lo Stato a supplire la Regione per le deficienze dimostrate nella gestione e nella tutela della sanità pubblica.
È stato definito, forse anche in modo impegnativo, “Decreto Crescita” e reca la firma del Presidente della Repubblica. Pertanto fino a quando il sistema sanitario regionale non rientrerà nei parametri previsti e, soprattutto, dentro i confini della normalità, saranno due commissari ad acta (un ex generale dei carabinieri e un tecnico) a gestirlo. Si avvarranno della collaborazione di nuovi direttori sanitari poiché il settore, per usare un eufemismo, sarebbe divenuto precario, così come quello degli acquisti, delle forniture e degli appalti. E non ultimo anche quello del personale le cui carenze d’organico hanno messo in ginocchio quasi tutte le strutture così da ritenere urgente il provvedimento che assicuri almeno un funzionamento minimo. Una condizione che purtroppo non risparmia alcun ospedale calabrese.
Ha mosso le acque la ministra Grillo che a seguito della sua visita in Calabria si è resa conto che «bisognava soprattutto ripristinare la legalità, perché non ci poteva essere diritto alla salute senza di essa». Un paradigma che riguarda anche il sistema di assunzione del personale.
Ora che tutto è stato messo nelle mani di Cotticelli e di Schael, dopo la non felice parentesi di Scura, si confida che si faccia in fretta per eliminare tutte le deficienze e dotare il servizio sanitario calabrese di quanto è necessario per renderlo sufficientemente funzionale. Mancano medici, infermieri e Unità Socio Sanitarie. Per le ultime due professionalità è auspicabile che si attinga dalle graduatorie dei concorsi già espletati negli ultimi anni nelle cinque provincie e si proceda finalmente alle assunzioni.
Fin qui il Decreto Sanità e i superpoteri conferiti ai commissari, ma la vicenda impone anche una approfondita indagine su come siano stati gestiti gli ospedali in Calabria. Essa apre squarci di riflessione sul sistema politico anche per quanto attiene il reperimento del personale a cominciare dai direttori generali, per finire ai medici specialisti, al personale paramedico e agli impiegati amministrativi. Eliminare i dubbi e le perplessità è un dovere nei confronti dei cittadini. Fare chiarezza è una condizione che può servire a riconsiderare e sfatare le dicerie che vorrebbero amministratori quanto meno disattenti che si sarebbero preoccupati più della gestione del consenso che di quella del territorio le cui esigenze non sono state mai sufficientemente tenute in conto così come i bisogni dei calabresi.
Ecco perché, senza nulla togliere al monito della legalità, sulla quale probabilmente c’è da chiedersi se alla deriva del carrierismo politico ha potuto fare eco anche la superficialità nell’affrontare e risolvere i problemi, ed essendo decisamente in crescita anche la tendenza all’opportunismo, bisognerà capire se il mandato politico sia stato inteso più come un posto di lavoro da difendere, che non come una missione da svolgere.
Questo modo di agire è stato e, in alcuni casi, continua ad essere considerato la causa primaria dell’allontanamento dell’elettorato dalla politica. Gli eletti probabilmente avranno assimilato l’idea malsana che non si trattava più di un mandato onorifico, sia pure lautamente retribuito, ritenendo probabilmente che la questione morale avesse lasciato il posto al narcisismo, che è l’anticamera dell’arrivismo.
Se questo è stato il sistema, l’esempio che si dà alle nuove generazioni non è edificante. Da ciò muove soprattutto la necessità di invertire la rotta se si vuole recuperare il senso del dovere, della responsabilità e della correttezza soprattutto delle nuove leve che paradossalmente assimilano più ciò che va eliminato che ciò che andrebbe fatto. Ecco perché diventa indispensabile educare i giovani non soltanto ad un diverso modo di intendere la militanza politica, quanto a credere nei principi sani del lavoro finalizzato alla crescita e allo sviluppo del Paese.
*giornalista

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