La foto con Giovanni Falcone, memorabilia della sua esperienza alla Gazzetta del Sud, ricordi di Calabria Ora, numeri sparsi del Corriere della Calabria. La sua stanza oggi è vuota ma vi risuonano ancora migliaia di aneddoti, consigli, letture dei fatti profonde e inattese. Paolo era sempre capace di mostrarti un aspetto della realtà a cui non avevi pensato. Era una miniera di storie da ricordare, appuntare, rubare come si fa ogni giorno in questo mestiere che ci aveva portati a incrociare la sua strada.
E ne aveva fatta di strada. Dagli inizi negli anni Ottanta come corrispondente dell’Ansa da Locri fino all’assunzione come praticante alla Gazzetta nel marzo del 1990. Lì era rimasto fino al 2003. Dall’aprile 2007 aveva diretto Calabria Ora. Fino al 21 luglio 2010, quando aveva lasciato per contrasti sulla linea editoriale. A quel punto, con un gruppo di giornalisti che avevano deciso di seguirlo, aveva fondato e diretto il Corriere della Calabria. Prima settimanale cartaceo, poi sito di riferimento dell’informazione online in Calabria. Dal 2015 era il direttore editoriale del Velino.
Mai scontato, spigoloso, generoso, Paolo era “larger than life”: si poteva non amarlo ma era impossibile che risultasse indifferente. Impossibile non interessarsi al suo punto di vista.
Gli piaceva raccontare. Gli piaceva “stare nelle cose”. Ci si buttava con coraggio, senza paura di prendere posizione. Non si tirava indietro. Ha insegnato a due generazioni di cronisti l’importanza di documentarsi e leggere le carte e che il giornalismo è un lavoro di squadra e il miglior fantasista può solo palleggiare contro il muro e perdersi in sterili e inutili acrobazie senza una redazione alle spalle. Ci ha spesso aperto gli occhi davanti a trappole e imprevisti del mestiere. I suoi rimbrotti erano potenti come la capacità di difenderci. Sapeva essere duro, ma senza perdere la tenerezza. La foto in cui appare assieme a mamma Casella a Locri, nel 1989, è un pezzo di storia della Calabria e del giornalismo.
C’è un bel libro che racconta la parabola giornalistica di Indro Montanelli. Si intitola “La mia eredità sono io”. L’eredità di Paolo sono centinaia di notizie capaci di rivoltare in un attimo il piano di giornata. Una sua telefonata poteva “smontare” un quotidiano alle otto di sera. Un suo pezzo sul web determinare il dibattito per settimane. Gli piaceva scrivere di notte, con la quiete e il silenzio «e nessuno che mi rompe le scatole». E si “vantava” di quella pigrizia che pure non gli impediva di muoversi tanto e con curiosità dentro i fatti che raccontava.
Se n’è andato in una sera di maggio. All’improvviso, come aveva lasciato due giornali.
Aveva 62 anni. Era il nostro direttore.
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