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Omicidio Scopelliti, l'inizio della strategia stragista

Al maxiprocesso Gotha il pentito Avola svela: «De Stefano era il referente di Cosa Nostra in Calabria». E racconta rapporti mafiosi, politici e massonici maturati all’ombra degli attentati. «Anche …

Pubblicato il: 08/05/2019 – 20:32
Omicidio Scopelliti, l'inizio della strategia stragista

di Alessia Candito
REGGIO CALABRIA «Noi abbiamo cominciato la strategia stragista a Villa San Giovanni». È lapidario il pentito Maurizio Avola, ma non va oltre mentre parla da testimone al maxiprocesso Gotha. Il pentito che con le sue rivelazioni ha dato nuove gambe alle indagini sull’omicidio Scopelliti, su quel delitto eccellente nulla dice. E il procuratore aggiunto Giuseppe Lombardo nulla gli chiede. Tuttavia, non più tardi di qualche settimana fa, Avola, interrogato dai pm di Caltanissetta aveva fornito più di un dettaglio al riguardo. Killer preferito di Nitto Santapaola e uomo di fiducia del consigliori dei catanesi, Mariano D’Agata, nell’estate del ’91 è stato allertato «per un omicidio d’urgenza». Da fare in Calabria, a Villa San Giovanni, o meglio a Piale.
DE STEFANO UOMO DI COSA NOSTRA A passare l’ordine, Aldo Ercolano, numero due della famiglia e responsabile dei contatti con i clan calabresi. Rapporti solidi, datati, che Avola ha potuto sperimentare di persona già all’inizio degli anni Ottanta. «Andavo con Salvatore Ercolano, che era cugino di Nitto Santapaola, a incontrare Paolo De Stefano a Reggio Calabria nel 1984. Inizialmente – dice in aula Avola – ci andava Salvatore Santapaola, perché insieme ai De Stefano stavano aspettando una nave di fumo. Ma i rapporti erano precedenti. Paolo De Stefano era un uomo d’onore, era Cosa Nostra, era stato fatto dai palermitani. Era il rappresentante di Cosa Nostra a Reggio. So che i De Stefano erano amici di Cosa Nostra». Non a caso, spiega, sarebbero stati gli arcoti ad occuparsi di “aggiustare” il processo per “la sparatoria di viale delle Olimpiadi”, trasferito a Reggio Calabria. «Ercolano mi disse di parlare con De Stefano perché sapevamo che la sua famiglia aveva rapporti con la magistratura. E lui – spiega Avola – mi disse che non c’era problema. Non so come sia andata, ma certo è che vennero scarcerati». Alla morte di Paolo De Stefano, aggiunge, i rapporti non si sono interrotti. Sono solo cambiati i referenti. «Erano anche i Piromalli, ma non so dire chi, perché non me ne occupavo io».
L’ESTATE DEL ’91 E L’ISOLAMENTO DI SANTAPAOLA Ma nell’estate del ’91, Aldo Ercolano aveva anche un altro ruolo. Magari non formalizzato, ma di peso. «Lui – dice il pentito – era anche il punto di riferimento dei corleonesi. Ma attenzione dottore – specifica – non intendiamo solo i mafiosi di Corleone, ma tutti quelli che appoggiavano la strategia stragista». Quella che a Nitto Santapaola non piaceva perché – racconta il pentito – gli omicidi eccellenti fanno rumore e «disturbano i rapporti con certi ambienti». Massonici, ovviamente. Che Santapaola frequentava e di cui Avola non ha mai parlato con piacere.
GREMBIULI E SPETTRI Al contrario, ha spiegato nell’ultima fase della sua collaborazione, proprio l’ombra dei grembiuli, soprattutto quelli frequentati dai Messina Denaro, lo ha spinto a tacere per paura su alcuni capitoli della sua vita da killer. Adesso Avola ha iniziato a parlare. O almeno così ha detto di fronte ai giudici di Caltanissetta. Ma a Reggio sembra tenersi sul vago. Magari per non disturbare indagini in corso. «Avevamo rapporti con la massoneria, non solo catanese, ma – afferma – non so dire con chi. Era Santapaola ad avere questi rapporti e anche per tutelarli era contrario ai progetti stragisti». In quegli ambienti si discuteva di altro.
LA COSA NUOVA «Si parlava di questo partito nuovo dopo le stragi, la Sicilia doveva diventare indipendente e in questo era appoggiata dai clan americani. Si diceva che bisognava fare una “cosa nuova”, perché c’erano stati i morti, molti vecchi interlocutori erano stati eliminati come Lima. Il progetto era cambiare tutto e fare tutto nuovo, con nuovi referenti. Noi abbiamo contribuito con una serie di omicidi eccellenti». Quelli che Santapaola non voleva e gli sono costati una sorta di “commissariamento” con l’imposizione a Catania di soggetti come Santo Mazzei, «un cursoto (non appartenente a Cosa Nostra), combinato direttamente da Bagarella e presentato a Ercolano e Santapaola». D’altra parte, quella strategia che Santapaola avversava, non ha stravolto i piani di riassetto che in riservatissimi ambienti si andavano definendo in quegli anni. «Nel ’94 – dice Avola – io ero detenuto, ma D’Agata mi ha fatto sapere che fuori era tutto pronto che ci sarebbe stata una forza nuova e sarebbe andato tutto a posto. A portare avanti questi progetti erano massoneria e ambienti politici».
IL PREZZO Un risultato raggiunto anche al costo di delitti e stragi di cui il pentito a Reggio non ha (ancora) parlato, ma su cui altrove ha già riferito. Come l’omicidio Scopelliti, l’alfa della stagione delle stragi. «Io – ha messo a verbale Avola – dovevo portare la motocicletta a Vincenzo Salvatore Santapaola», rivela, poi aggiunge che in Calabria «c’era anche Messina Denaro, che ha commesso con me materialmente l’omicidio». La morte del giudice – ha riferito – era stata decisa da tempo, ma solo in agosto si è potuto procedere «perché Scopelliti se ne stava andando da Reggio per tornare a Roma e era necessario ucciderlo nella località in cui si trovava in Calabria». Perché? «Nella capitale non si poteva fare perché non volevano un omicidio eccellente là, anche quello di Falcone – racconta il collaboratore – è saltato per lo stesso motivo». A dare tutte le indicazioni, ha affermato Avola, era stato Salvo Lima. «D’Agata mi ha detto che è stato lui a dare notizie sulle mosse di Scopelliti. Al giudice, lo ha rovinato Falcone. Ercolano mi disse che Falcone aveva continuato a interessarsi al maxi, per i mafiosi faceva di più di quello che avrebbe dovuto fare. Si era incontrato con il dottore Scopelliti, gli aveva parlato, lo aveva indicato per la Cassazione». (a.candito@corrierecal.it)

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