di Pablo Petrasso
CATANZARO Le accuse della Procura, riferite al modo in cui Nicola Adamo si muove nel sottogoverno e tra le pieghe di alcuni degli appalti più importanti della Regione escono «fortemente» ridimensionate, dal ragionamento del gip di Catanzaro che valuta le carte dell’inchiesta Passepartout. Questo perché «la rilevanza penale del suo agire viene concretamente rinvenuta in una sola delle ipotesi configurate (il caso dello sgambetto politico a Mario Occhiuto del quale abbiamo parlato qui, ndr)». La censura del magistrato entra nella sfera politica. Perché il comportamento esibito dal consigliere più vicino al governatore Mario Oliverio «appare più il frutto di un approccio tipicamente clientelare e personalistico della cosa pubblica, riconducibile a contingenti ragioni di opportunismo e convenienza nell’ambito di generali prassi anche illecite ormai in uso nel modo di intendere la politica».
Il gip spiega che è difficile ipotizzare l’esistenza di una associazione per delinquere. Ma fornisce – sulla base delle carte raccolte dagli inquirenti – uno spaccato di cosa sia diventata la politica. E lo fa raccontando il ruolo di Adamo: ex segretario regionale dei Ds, ex parlamentare (che poi scelse di rimanere in consiglio regionale), ex vicepresidente della giunta Loiero. Un ex, certo, ma con la capacità di esercitare molto potere. Perché, «pur non ricoprendo al momento alcun incarico politico o istituzionale», sarebbe «il principale e in alcuni casi l’esclusivo punto di riferimento per molti politici e funzionari, anche in virtù del suo passato politico». Tanto che, «in alcuni passaggi, la sua ingombrante presenza finisce con il condizionare l’azione politica del governatore del quale è consigliere di fatto e suggeritore delle strategie da adottare». L’interessamento per le sorti della metroleggera e per lo scioglimento del consiglio comunale di Cosenza è un esempio di ciò che il giudice rileva.
Nel suo ragionamento, il gip nota come Adamo «sfrutti il suo potere per ottenere nomine di fiducia per gli uomini del suo schieramento o, in alcuni casi, anche vantaggi di natura personale, come è avvenuto nel caso dei condizionamenti esercitati nei confronti del dirigente di settore dell’Avvocatura regionale, Eugenia Montilla, per accelerare l’istruttoria relativa alla liquidazione di un rimborso in suo favore». Per questa ipotesi, la Procura «non ha ritenuto di avanzare richiesta cautelare». E lo stesso giudice per le indagini preliminari non considera «tali situazioni» come rappresentative dell’«operatività di un gruppo criminale scientemente dedito alla commissione di reati in danno della pubblica amministrazione». Questi casi «rappresentano», però, «il tipico meccanismo clientelare diffusissimo nel nostro sistema politico, indicativo di un modo degenerato di intendere la gestione della cosa pubblica». Manca «la dimostrazione, sia pure a livello di gravità indiziaria, del fatto che gli indagati abbiano agito in forza di un vincolo di natura associativa e non di una prassi generalmente accettata, approfittando della disponibilità di ciascuno a gestire in chiave opportunistica le dinamiche politiche e in alcuni casi finanche a commettere degli illeciti». (p.petrasso@corrierecal.it)
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