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«Il Csm del Reventino era il nostro nido. Ce lo stanno sgretolando»

Lo sfogo della madre di un ragazzo disabile: «A Decollatura nessuno si sentiva diverso e nessuna famiglia si sentiva sola»

Pubblicato il: 12/05/2019 – 20:53
«Il Csm del Reventino era il nostro nido. Ce lo stanno sgretolando»

DECOLLATURA Sentirsi soli e abbandonati con un figlio disabile. Sullo sfondo un paese di montagna che prima poteva contare su un Centro di salute mentale organizzato, quasi una seconda casa, e oggi si appoggia a sporadici incontri, due volte alla settimana. Prima c’erano attività quotidiane, iniziative, il pranzo insieme, genitori, medici, pazienti. Un confronto continuo e costante, un progetto da portare avanti. Un esempio di quanto di buono le famiglie e le strutture pubbliche possano realizzare. Ma la scure dei tagli non legge il cuore di una madre oggi “confinata” col proprio figlio nel paese sempre più sguarnito. Si affida alla scrittura la signora Carla e il suo sfogo viaggia su Facebook dove lo raccoglie il gruppo del Comitato Pro Ospedale del Reventino. «Noi mamme dei nostri sfortunati figli, avevamo un nido al Csm del Reventino di Decollatura, un posto dove nessuno si sentiva diverso e nessuna famiglia si sentiva sola. Al mattino ci alzavamo e sapevamo dove andare. Oggi non è più così, il nostro Centro ce lo stanno sgretolando». I dottori vanno ormai solo due volte alla settimana anche se «lo fanno con lo stesso sentimento di quando venivano allora». Per il resto della settimana il personale medico è impegnato al Csm di Lamezia Terme. «La montagna serve solo a dare sangue al mare», scrive Carla. E diventa quasi dolce il ricordo, altrimenti drammatico, del nove maggio scorso, di un giovedì qualsiasi a pranzo al Csm. Il figlio di Carla cianotico con un pezzo di mozzarella finito nella trachea: «Mio figlio è morto per una manciata di secondi». Ma i medici erano lì «avevano una vita tra le mani e sapevano cosa farne. Persino i pazienti, tutti intorno a lui cercavano di dare una mano richiamandolo alla vita». «Quando è arrivato il 118, con tempestività – scrive Carla –, Giovanni si era ripreso. Subito trasportato al Pronto Soccorso di Soveria Mannelli laddove lo attendeva una equipe pronta all’intervento. Massima l’efficienza di tutti. Visto però che Giovanni poteva aver subito qualche danno, che è inevitabile durante certe manovre di rianimazione, quali ad esempio perforazione pleura e/o rottura costole, rottura clavicola, controllo torace ed altro ancora, c’era bisogno di fare delle radiografie. Lo strumento a Soveria era rotto e quindi Giovanni, ripetiamo, disabile, è stato trasferito in ambulanza di corsa a Lamezia Terme tra i tornanti della montagna». Ma la fortuna è stata avere avuto vicino i dottori e tutta la struttura che un tempo era un «nido», non solo per i pazienti ma anche per le famiglie, per le mamme. Una di loro, nel giorno della sua festa, si sente abbandonata. (aletru)

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