Inizio a scrivere questa riflessione dalle pensiline antistanti la Stazione centrale di Malmö nel sud della Svezia, in attesa di raggiungere Cluj Napoca, seconda città più popolosa della Romania dopo la Capitale (poco distante da Alba Iulia, nella quale ha sede l’Università che mi ospita per il progetto Erasmus+). La tappa successiva di questo viaggio è Bucarest, dove mi recherò per esprimere il mio voto in occasione delle elezioni europee. Ed è l’Europa il tema sul quale intendo condividere alcune considerazioni di interesse generale per il tempo che stiamo vivendo.
Queste elezioni europee sono un appuntamento molto importante per tutti noi, ma certamente non saranno lo scontro finale, come qualcuno voleva invece far credere; i discorsi sulla possibilità di recedere dall’Unione Europea (la già nota Italexit), infatti, sono ormai discorsi antichi e decaduti. Probabilmente ci si è accorti, forse un po’ in ritardo, che l’Europa è dappertutto: nella nostra quotidianità, nell’istruzione, nella sanità, nel lavoro, nella mobilità. Sarà però una battaglia su contenuti che ci vedono su posizioni molto diverse. Sappiamo bene da dove viene l’Europa; non è un incidente di percorso e, al di là del dibattito poco maturo a cui abbiamo assistito in questi anni, dobbiamo avere la consapevolezza che questa dimensione è per noi necessaria. Lo spazio europeo è quello in cui possiamo trovare i livelli più alti al mondo nell’ambito di standard sociali e di qualità ambientale, di protezione dei consumatori e tutela dei diritti; tuttavia persistono, anche in questo spazio, limiti e contraddizioni i quali aspettano una risposta.
La questione principale, che mi auguro sia posta al centro del dibattito presente e futuro, è forse il più evidente dei limiti di questa esperienza, vale a dire la democrazia europea: incompiuta, imperfetta, fragile. Non si può pensare di difendere questo immenso patrimonio e di affrontare le contraddizioni di cui soffre questa comunità, se la governance rimane quella che abbiamo conosciuto fino a questo momento. Quando ci si riferisce ai problemi che maggiormente interessano l’Unione – dal fisco alla politica estera – bisognerebbe domandarsi se è credibile pensare di affrontarli con ventisette o più Stati, che a monte hanno pattuito di trattenere delle competenze importanti su questi temi e che quindi hanno escluso la possibilità dell’Unione stessa di intervenire in maniera efficace.
Ciò detto, assume un rilievo altrettanto significativo il tema del lavoro, che rappresenta anche un elemento di costante confronto nelle dinamiche interne ed esterne allo spazio europeo. Abbiamo un mercato del lavoro che palesemente non offre parità di condizioni e di trattamento, lo si può comprendere facilmente dopo aver vissuto realtà differenti. E così, le aziende di Verona, di Terni, di Sesto San Giovanni che delocalizzano a Sebes, a Timisoara o a Bucarest – per fare qualche esempio – certamente non investono su particolari qualità di prodotti o sull’innovazione, ma investono sulla fragilità dei diritti in Europa, perché esistono Paesi in cui la vita di un operaio vale meno. Analogamente si potrebbe dire che la politica fiscale rappresenta il concetto dell’uguaglianza del lavoro e della persona. Negli ultimi anni sono stati fatti dei passi avanti e si è riusciti ad imporre delle regole comuni, tuttavia ci troviamo di fronte un mercato del lavoro che non si è sviluppato nei diritti e che non ha gli strumenti per farlo. Avremo un’Europa certamente più unita, se riusciremo ad ottenere un mercato del lavoro in grado di esprimere questi valori. Le differenze all’interno di questa grande comunità ci sono, perché la Romania non è certamente la Svezia, ma sarebbe un errore viverle come un limite rispetto alla portata ambiziosa che ha l’integrazione europea. Lo slancio di cui abbiamo bisogno potrà realizzarsi solo ponendo il tema di come governare seriamente questo spazio. In questo senso, un percorso di progressiva convergenza risponderebbe ad un requisito, sia logico sia pratico, per raggiungere progressivamente un punto di equilibrio.
Da tempo sta mancando la necessaria iniziativa su alcune questioni che aspettano risposte e che non posso più aspettare; continuare a dare spazio soltanto ad obiezioni e veti non è il modo giusto per affrontare i problemi. La politica non può farcela da sola, è così evidente. Abbiamo la necessità che in questa cornice siano presenti dibattito, competenza e corresponsabilità. Ancor di più abbiamo bisogno di una classe dirigente che sappia interpretare e investire sempre di più in questo progetto, per costruire cooperazione e per camminare insieme; dove manca il governo dei problemi c’è sempre chi li sfrutta. L’Europa sarà più forte e la futura classe dirigente sarà più virtuosa quanto più saranno le persone ad imporlo.
In questa prospettiva un ruolo fondamentale può e deve essere svolto dalla mia generazione, nata in un contesto economico e sociale profondamente innovato, dotata di opportunità e strumenti di conoscenza ed integrazione capaci di costruire un’idea politica forte intorno al progetto europeo. È per queste ragioni che sono in viaggio verso Bucarest, credo nel valore dell’impegno di ciascun individuo e nel significato che questo ha. Il mio augurio è che ci sia la consapevolezza e la volontà da parte di tutti di mobilitarsi in questa direzione, perché, del resto, l’Europa che vogliamo non è né quella dei governi né quella dei partiti, ma è l’Europa dei cittadini.
* Vicesegretario dei Giovani democratici della Calabria
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