REGGIO CALABRIA Abbiamo voluto portare le nostre telecamere, sia pure virtualmente, in uno dei posti più belli e suggestivi del mondo e, di certo, più significativi nel contesto delle problematiche di interesse mondiale correlate ai cambiamenti climatici e agli effetti devastanti che riguardano anche l’impatto sulla biodiversità: le Galapagos.
Abbiamo raggiunto via skype il team di ricerca della Università Mediterranea di Reggio Calabria che da circa un mese è impegnato in una missione scientifica internazionale in Ecuador che coinvolge un gruppo di scienziati provenienti da diverse università coordinato dall’Università della Loja la quale, nelle isole Galapagos, ha insediato un centro di ricerca focalizzato sulla salvaguardia della biodiversità della flora delle isole e dello sviluppo di sistemi di coltivazione/allevamento ecosostenibili coerenti con il fragile equilibrio delle isole nonché un piano speciale di sicurezza alimentare e di valorizzazione delle produzioni locali. Il Team di ricerca della Mediterranea è coordinato della professoressa Mariateresa Russo e include i ricercatori Rosa di Sanzo e Sonia Carabetta. Anche se non presente in questa prima missione, partecipa al team anche il professor Luca Rastrelli dell’Università di Salerno. Il coordinatore locale è il professor Omar Malagón, direttore dell’Área Biológica y Biomédica.
Professoressa Russo, come è nata questa collaborazione?
«Innanzitutto ringrazio l’università della Loja per l’onore di avermi voluta coinvolgere in questo significativo progetto per via delle specifiche competenze del team di ricerca che da molti anni si occupa dei temi della sicurezza alimentare sia in termini di studio dei contaminanti alimentari, inclusi quelli emergenti e specificatamente le micro/nanoplastiche, che di sviluppo strumenti sia nomativi che operativi per garantire la sicurezza delle produzioni alimentari tradizionali che necessitano, evidentemente, di una particolare competenza. Il team ha sviluppato, grazie ai numerosi progetti attuati, una banca dati denominata “Medica”, contente i marker di autenticazione di numerosi prodotti alimentari della Dieta Mediterrranea, piante officinali ad uso alimentare e in medicina popolare che sarà il modello di riferimento per la creazione della banca dati del progetto in itinere. Inoltre, avendo maturato una vasta esperienza progettuale nella creazione di infrastrutture di ricerca avanzate il team parteciperà anche alla fase di infrastrutturazione del Centro».
Ma in cosa consiste questo progetto?
«Il progetto, di respiro internazionale ed unico nel suo genere proprio perché riguarda l’ecosistema delle Galapagos, si sviluppa nell’ambito di un accordo quadro tra due Università (Reggio Calabria e Loja) – che prevede inoltre specifici programmi di scambio tra studenti, laureandi e dottorandi, docenti e ricercatori – ed un ulteriore accordo di ricerca tra l’Università della Loja e la Fondazione Silae (di cui sono presidente). Quest’ultima, partner del progetto, metterà a disposizione il proprio network di ricerca che coinvolge oltre 4.000 ricercatori tra cui molti scienziati che da anni lavorano sul patrimonio delle piante medicinali dell’America Latina, scienziati esperti in fitochimica, agricoltura ecosostenibile, chimica degli alimenti, etnobotanica, antropologia. Gli obiettivi dell’iniziativa comprendono, in sintesi, lo sviluppo di programmi e progetti per lo studio etnobotanico e fitochimico della biodiversità vegetale dell’arcipelago, la conservazione della biodiversità vegetale, lo sviluppo sostenibile delle attività economiche legate all’agricoltura ed alla pesca e lo sviluppo di un ampio piano di sicurezza alimentare a favore delle popolazioni locali e provenienti dall’esterno dei contesti. Introdurre strategie di uso sostenibile del territorio per far sì che la conservazione delle risorse naturali vada di pari passo con lo sviluppo delle comunità rurali è un ulteriore focus. Questi ecosistemi fragili, forniscono risorse e servizi d’importanza cruciale per le comunità indigene che ne ottengono cibo, legname, fibre vegetali, piante medicinali, acqua. In questa logica componente centrale sarà promuovere e proteggere i prodotti locali nel quadro di una strategia di ampio respiro per lo sviluppo sostenibile delle aree, incoraggiando sistemi idonei di certificazione dei prodotti».
Qual è la cosa più curiosa che è emersa da questo progetto?
«Nella ricerca di alcune piante, ci siamo imbattuti in una bellissima e stranissima specie di palma qui chiamata “la palmera che cammina”. La specie si chiama Socratea exorrhiza ( Mart. ) H.Wendl. e si trova in diversi siti tra cui un sito denominato “Bosco protetto dell’Alto Nangaritza che fa parte della Riserva di biosfera Podorcarpus-El Condor. A differenza di altri alberi le cui radici sono completamente nascoste nel terreno, questi alberi hanno un apparato radicale aereo che assomigliano a dei trampoli, che sorreggono i tronchi. Diverse ipotesi sono state formulate nel corso degli anni sul perché questa palma sia dotata di simili radici, e che pare sia collegata ad una strategia di sopravvivenza. Se per qualche motivo la pianta subisce danneggiamenti (es. si abbatte un tronco o altro), nuove radici aeree si formano lungo il vecchio tronco e le radici originali iniziano a morire. La palma continua a crescere normalmente, ma spostata dalla sua posizione originale. Infine nell’ambito degli studi che da qualche tempo sviluppiamo con i collegi dell’area alimenti della Università della Loja, abbiamo visitato Vilcabamba, il mitico luogo degli ultracentenari. Tra mito e realtà il nostro studio riguarda un confronto tra i regimi alimentari di queste aree e il modello alimentare della Dieta mediterranea, uno studio focalizzato sulle due piramidi, quella mediterranea e quella dell’America latina, alla ricerca dell’elisir di lunga vita. Avrei voluto condividere queste esperienza con il mio amico Paolo Pollichieni, ma non ho fatto in tempo. Per questo mi sento di dedicare a Paolo la mia ricerca sull’elisir di lunga vita».
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