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«La sindrome del torcicollo. Per guardare avanti con Puglisi»

di + p. Vincenzo Bertolone S.d.P.

Pubblicato il: 28/05/2019 – 15:10
«La sindrome del torcicollo. Per guardare avanti con Puglisi»

Don Pino Puglisi? Anche medico: dell’anima. Non v’è definizione che meglio possa descrivere la capacità del parroco di Brancaccio nel diagnosticare una sindrome alquanto diffusa, ieri come oggi: quella del torcicollo. Il sacerdote palermitano la riscontrava, spiegava lui stesso, in “chi guarda sempre indietro e ha paura del suo passato, non riesce a lasciare il proprio passato e quindi andare liberamente verso il futuro; in chi riflette tanto, tanto da non muoversi mai”. Parole e pensieri che, nell’anniversario della sua beatificazione, restituiscono di lui l’immagine di un prete capace di vedere lontano, proprio come il buon medico, il quale – dall’anamnesi e dai sintomi – individua i malanni e cerca anche di suggerire il possibile rimedio.
La sindrome del torcicollo, dunque. Comune a preti e laici afflitti dalla condizione di poter guardare solo e sempre all’indietro. “A questi il testimone della speranza cerca di infondere certezza”, sottolineava 3P, quasi a prescrivere una possibile cura. Niente farmaci, né interventi chirurgici. Tutt’altro: solo testimoni della speranza, cioè persone che si mettano in cammino e guardino avanti e, insomma, non se ne stiano su una sedia, come osservò papa Francesco al Foro Italico di Palermo il 15 settembre 2018, dopo aver visitato il teatro dell’esistenza terrena del beato: “Povero fra i poveri della sua terra. Nella sua stanza la sedia dove studiava era rotta. Ma la sedia non era il centro della vita, perché non stava seduto a riposare, ma viveva in cammino per amare. Ecco la mentalità vincente. Ecco la vittoria della fede, che nasce dal dono quotidiano di sé”.
Resta da domandarsi chi sia il testimone. Anche in questo caso, la risposta non fa difetto: “Il testimone della speranza – aggiungeva difatti Puglisi – indica non cos’è la speranza, ma chi è la speranza. La speranza è Cristo e lo indica logicamente attraverso una propria vita orientata verso Cristo”. Questo concetto è risuonato nella Lumen fidei (n. 57) di papa Francesco, e proprio in riferimento alla speranza, non soltanto ultima dea, come dicevano gli antichi, ma forza teologale che proviene dallo Spirito Santo: “Non facciamoci rubare la speranza, non permettiamo che sia vanificata con soluzioni e proposte immediate che ci bloccano nel cammino, che frammentano il tempo, trasformandolo in spazio. Il tempo è sempre superiore allo spazio. Lo spazio cristallizza i processi, il tempo proietta invece verso il futuro e spinge a camminare con speranza”.
Sì: la sindrome del torcicollo si vince proiettandosi verso il futuro, come devono fare soprattutto i giovani per età e cuore: “i giovani continuano a non avere senso della propria vita, perché non hanno trovato in noi questo orientamento chiaro e preciso nei confronti e verso Cristo”, osservava don Pino. “Cristo vive. Egli è la nostra speranza e la più bella giovinezza di questo mondo. Tutto ciò che Lui tocca diventa giovane, diventa nuovo, si riempie di vita”, scriveva papa Francesco nell’Esortazione apostolica formulata in apertura del Sinodo dei giovani.
Un consulto a due voci per un’unica ricetta: la vita non è vita se non c’è amore.

*Postulatore, Arcivescovo Catanzaro-Squillace

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