SCILLA Nessuna illegittimità nel decreto che nel marzo dello scorso anno ha portato allo scioglimento del Comune di Scilla, importante centro della provincia di Reggio Calabria, per presunte infiltrazioni della criminalità organizzata. Lo ha deciso il Tar del Lazio con una sentenza con la quale ha respinto un ricorso proposto dall’ex sindaco Pasqualino Ciccone, dagli ex componenti della sua giunta Girolamo Paladino, Maria Salvaguardia, Domenico Scarano e Maria Gattuso, nonché dagli ex consiglieri Filippo Cotroneo e Giuseppe Federico. Partendo dai rilievi dei ricorrenti che puntavano ad affermare che l’organo politico da una parte aveva agito molto – e bene – per fronteggiare i gravi problemi che da anni affliggono l’Ente e il relativo territorio, e d’altra parte che lo stesso non era al corrente della contiguità alle locali cosche della ‘ndrangheta di alcune imprese affidatarie di servizi o lavori, per il Tar «per quanto suggestivi, i rilievi non sono idonei a spiegare alcune significative anomalie rilevate dalla Commissione prefettizia, indicative di possibile condizionamento mafioso». In più, secondo i giudici «sebbene la vicenda della elargizione di denaro ai parenti di un pregiudicato non sia con certezza attribuibile al sindaco, e per quanto le frequentazioni di costui con esponenti della malavita possano non essere di per sé sole indicative di un diretto coinvolgimento del sindaco con ambienti malavitosi, il provvedimento dissolutorio impugnato poggia su molteplici e specifiche vicende, accomunate dall’avere di fatto favorito concretamente interessi di vario tipo delle cosche malavitose o dei loro affiliati, come tali oggettivamente spiegabili con fenomeni di condizionamento mafioso esercitati su dipendenti e/o amministratori». Alla luce di tutti, il collegio ha ritenuto che «la valutazione effettuata dalla Amministrazione nell’atto impugnato risponda ai criteri che la giurisprudenza ha enucleato per stabilire se la decisione di sciogliere un comune possa considerarsi legittima in quanto rispondente a ragionevolezza e logicità» e «sulla legittimità di tale decisione non può incidere la circostanza che il condizionamento mafioso sia esercitato da dipendenti all’insaputa degli amministratori o da alcuni degli amministratori ad insaputa degli altri».
x
x