di Michele Presta
PAOLA Tra i 36 imputati con rito ordinario del processo “Frontiera” ci sono anche Giorgio Ottavio Barbieri e Massimo Longo. È dedicata alla loro presunta appartenenza al clan Muto una cospicua porzione della seconda udienza della requisitoria del procuratore aggiunto della Dda di Catanzaro Vincenzo Luberto e del suo collega Romano Gallo. I rapporti con il “re del pesce” e l’imprenditore romano vennero fuori proprio nell’indagine che coinvolse la cosca tirrenica e parte di quegli atti furono utilizzati dalla procura coordinata da Nicola Gratteri anche per il procedimento “Lande Desolate” in cui oltre a Barbieri vennero tirati in ballo anche il presidente della Regione Calabria e alcuni dirigenti della Cittadella Regionale. (qui la notizia sulla chiusura delle indagini).
A cosa sarebbe servita a Giorgio Ottavio Barbieri l’amicizia del “vecchio” Muto? A garantirsi l’aggiudicazione degli appalti, o meglio, di quelli più importanti. «Barbieri è un imprenditore che tramite varie società acquisisce 3 importantissimi appalti – spiega Vincenzo Luberto -. Sono i più importanti banditi nella provincia di Cosenza». Si tratta della realizzazione di Piazza Bilotti, dell’aviosuperfice di Scalea e degli impianti di risalita di Lorica. Nel corso della requisitoria, il procuratore aggiunto ha ripercorso tutte le fasi dell’indagine e dei dettagli emersi nel corso dell’istruttoria dibattimentale che hanno riguardato Giorgio Barbieri e Massimo Longo. Dalla «combutta» con Giorgio Morabito pezzo da novanta della ’ndrangheta di Reggio Calabria ai finanziamenti a Franco Muto.
Ancora una volta a fornire elementi utili ai magistrati antimafia sono i collaboratori di giustizia cosentini (qui la prima parte della requisitoria).
«Adolfo Foggetti –spiega Luberto – rende un racconto abbastanza chiaro: dice che quando viene montato il cantiere di piazza Bilotti continua ad ordire la possibilità di fare qualche atto di intimidazione volto a costringere l’impresa al pagamento di denaro a titolo estorsivo. Si rivolge ai capi del gruppo a cui appartiene e dopo qualche riunione riceve una sorta di diktat: evitare ogni tipo di fastidio a quel cantiere in considerazione del fatto che Luigi Muto aveva detto agli “Italiani” che l’impresa di Barbieri non poteva essere toccata in quanto era loro ditta “amica”».
Per i magistrati della Dda di Catanzaro il rapporto di “amicizia” viene considerato come una vera e propria affiliazione. Un ingresso in famiglia che sarebbe giustificato dal versamento mensile di 11mila euro in cambio di determinati favori e protezioni. «Luciano Impieri –continua il procuratore aggiunto- fa un discorso ancora più esplicito. Ci dice in maniera assolutamente chiara del fatto di avere più volte discusso con Rinaldo Gentile (uno dei capi degli Italiani cosentini ndr) del problema di Piazza Bilotti. Dopo una serie di incontri Rinaldo Gentile gli dice la verità: il cantiere di piazza Bilotti non si può toccare perché di tutta l’opera, precisamente il parcheggio, è dei Muto».
IL PESCATO ED I SOLDI ALLA COSCA Nel procedimento “Frontiera” Barbieri e Longo vengono tirati in ballo al seguito di una serie di intercettazioni telefoniche che finiscono le fascicolo d’indagine. Controversa viene considerata da parte di giudici della Corte di Cassazione l’appartenenza del costruttore romano alla famiglia Muto che ha spiegato la sottile differenza tra “imprenditore vittima ed imprenditore colluso” in un contesto tutto particolare come quello calabrese (ne abbiamo scritto qui).
Spiegazione che però i magistrati spediscono al mittente. «Le consegne di denaro esaltano il finanziamento alla cosca. Nelle conversazioni si capisce chiaramente che il referente di Longo è proprio “u viacchiu”, Franco Muto –dice Luberto-». Il pm elenca una sfilza di consegne, di incontri, di telefonate soprattutto con Davide Bencardino e Pier Matteo Forestiero. Racconta di quando la consegna di soldi da parte di Massimo Longo avvenisse anche quando la Eurofish fosse sotto il controllo di amministratori giudiziari per arrivare poi alle lamentele del costruttore alle richieste estorsive sul cantiere dell’aviosuperfice di Scalea. «Barbieri si ritrova scontento e questo evidenzia che proprio perché “socio occulto” di Franco Muto pretendeva di non dovere pagare nulla. Si lamenta tanto di questo al punto che Giorgio Morabito chiaramente abituato ad altri contesti, gli dice: “il vecchio tuo è sempre buono, è illu che deve capire”». Oltre agli appalti, i rapporti tra Barbieri e la famiglia Muto –secondo i magistrati – si sarebbero estesi anche alle attività turistiche che il gruppo dell’imprenditore romano aveva sulla costa tirrenica.
ANTONIO MANDALITI TRA I “FIDATI” DI MUTO «Antonio Mandaliti era preposto al controllo del territorio al pari di Luigi Muto». È l’indagato di cui la Dda si occupa non solo per il ruolo centrale che si ritiene abbia avuto all’interno del monopolio del pescato ma anche perché parallelamente ne avrebbe messo in piedi uno tutto suo: quello dei servizi di lavanderia da offrire ai ristoranti.
«Quest’attività veniva imposta al pari di quella dell’acquisto dei pesci –spiega Luberto-. Una cosa che sul territorio era diventata normalità tanto è vero che i diversi testimoni che sono stati ascoltati durante il processo ci dicevano che da tempo immemore loro avevano questo accordo con Antonio Mandaliti, nonostante la ditta fosse intestata a sua moglie». Anche di Antonio Mandaliti ha parlato il collaboratore di giustizia Luciano Imperi. «Impieri ci ha raccontato che trovandosi a corto di sostanze stupefacenti parlò con Mandaliti, ma che fu lo stesso imputato a dirgli che con lo stupefacente non aveva nulla a che fare in quanto non si occupava di queste cose ma solo di lavanderia».
IL DELITTO GIORDANELLI E GLI EPISODI CRIMINALI L’aggiunto Luberto ed il pubblico ministero Gallo sostengono anche che la famiglia Muto sia in qualche modo intervenuta attraverso i suoi sodali nel delitto di Anna Giordanelli (per cui è stato condannato Di Profio morto in carcere per un malore) e nel tentato omicidio di un senegalese. «Luigi Muto aveva una relazione amorosa con la sorella di Anna Girodanelli –spiega Luberto -. All’epoca del delitto la sorella e la mamma dell’assassinata parlavano di continuo con i carabinieri di Cosenza ed è per questo che gli fecero degli atti intimidatori bruciandogli delle autovetture. Tutto avvenne nello stesso posto in cui attentarono alla vita di un senegalese Fedele Cipolla, Mario Iacovo e Giuseppe Scornaienchi». (m.presta@corrierecal.it)
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