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Il non-finito calabrese e la schiettezza di Gratteri

Tra opere pubbliche incompiute e fascicoli “rispolverati” dal procuratore arrivato a Catanzaro nel maggio 2016. Le critiche alle inchieste dalla politica e dalla Curia di Mileto (che poi ha “ritrat…

Pubblicato il: 07/06/2019 – 7:12
Il non-finito calabrese e la schiettezza di Gratteri

di Alessia Truzzolillo
CATANZARO
Non-finito calabrese. Partendo dall’analisi di alcuni professori di architettura, l’espressione (diventata anche un genere fotografico grazie ad Angelo Maggio) è diventata un luogo comune per definire certo stile architettonico tipico della nostra terra: case costruite a metà, scoperchiate, piloni innalzati come braccia tese al cielo, cantieri abbandonati. È la Calabria povera, la Calabria rassegnata. Esiste un non-finito privato e, purtroppo, un non-finito pubblico: strade dissestate, la promessa di grandi opere che porteranno sviluppo e lavoro, infrastrutture, ospedali nuovi e attrezzati. Nel 90% dei casi, promesse, materiale buono per una campagna elettorale. Non mancano gli esempi, inoltre, di un non-finito giudiziario: inchieste che galleggiano nei cassetti per anni e che arrivano a conclusione scarne, prosciugate e buone per essere archiviate. Da questo punto di vista qualcosa, però, sta cambiando e il cambiamento è sempre un percorso complicato. Ma proviamo ad analizzare i fatti con ordine. Dati, e anche date.
LE CRITICHE È un dato comune a una serie di vicende che si incrociano negli ultimi giorni, anzi degli ultimi mesi. E che hanno visto salire i toni dei rilievi mossi nei confronti della Procura di Catanzaro. È iniziata con una nota della Curia di Mileto-Nicotera-Tropea. La storia è quella dei due sacerdoti indagati per i quali la Dda ha chiesto il rinvio a giudizio con l’accusa di tentata estorsione aggravata dal metodo mafioso in relazione alla pretesa restituzione di una somma di denaro data in prestito ad un imprenditore del Vibonese, parte lesa nel procedimento penale. Esplosa l’inchiesta, dalla Curia si sono levate parole pesanti. La Diocesi parla di un’accusa «senza riscontri nella realtà». Solo in questo caso il procuratore ha reagito, ribadendo le risultanze dell’inchiesta e specificando che i due indagati non hanno, dopo la chiusura delle indagini, presentato memorie difensive, né si sono presentati per rilasciare dichiarazioni. Qualche giorno dopo è arrivata la marcia indietro: in un secondo comunicato, infatti, la Diocesi rinnova la stima per la Procura di Catanzaro e dichiara la propria fiducia nella magistratura. Tra “avanzata” e “ritirata” si è inserita un’iniziativa di Nicola Adamo, ex consigliere regionale e vicepresidente della giunta nell’era Loiero. Adamo ha mosso rilievi direttamente sul procuratore Nicola Gratteri e le sue “modalità di comunicazione”, presentando un esposto al fine contrastare «le gogne mediatiche conseguenti a suggestioni colpevoliste magari fondate su pregiudizi accusatori». Quest’ultima (i «pregiudizi accusatori») è un’espressione che il politico prende in prestito da una pronuncia della Corte di Cassazione che non si riferisce alla sua posizione nelle inchieste della Procura di Catanzaro ma alle motivazioni con le quali gli ermellini hanno annullato l’obbligo di dimora imposto dal giudice per le indagini preliminari al governatore Oliverio nel mese di dicembre. Per Adamo – indagato nelle inchieste “Lande desolate” e “Passepartout” – non ci sono pronunce della Cassazione. Il suo esposto è indirizzato al presidente del Consiglio superiore della magistratura, al procuratore generale presso la Corte di Cassazione ed al procuratore generale presso la competente Corte di Appello. Due attacchi aperti, quelli della Diocesi e dell’ex consigliere regionale, in pochi giorni. Gli animi, comunque la si guardi, non sono distesi.
NON FINITO CALABRESE Si parte da “Lande Desolate”. L’inchiesta è arrivata a conclusione indagini il 16 aprile scorso e vede indagati, tra gli altri, il governatore della Calabria, Mario Oliverio, lo stesso Nicola Adamo, dominus del Pd calabrese, e la di lui signora, parlamentare del Pd, Enza Bruno Bossio. La Procura ipotizza i reati di corruzione per atti contrari ai doveri d’ufficio con l’aggravante che si tratta di pubblici impieghi. L’indagine, sostanzialmente, narra una storia di non-finito calabrese e vede sullo sfondo l’impianto di risalita di Lorica, mai inaugurato, l’aviosuperficie di Scalea, e l’unica opera portata a compimento dopo anni di attesa, commercianti disperati e inchieste giornalistiche: piazza Bilotti a Cosenza. Opere il cui stato di avanzamento dei lavori sarebbe stato in più occasioni falsato.
La fetta più corposa delle intercettazioni risale al 2015, comprese quelle riguardanti le presunte “pressioni” sul dipartimento Turismo per “spingere” i lavori all’impianto di risalita di Lorica. Gli uomini della Guardia di finanza monitorano anche, tra marzo e il 13 maggio 2016, gli interventi che, secondo l’accusa, sarebbero stati tentati per rallentare i lavori su piazza Bilotti e impedire all’ex sindaco, all’epoca candidato, Mario Occhiuto (attuale primo cittadino) di accedere al cantiere. L’obiettivo, sempre per gli investigatori, sarebbe stato quello di decidere il timing dell’inaugurazione dell’opera per ottenerne un vantaggio politico.
Anche l’inchiesta “Passepartout”, che è arrivata a conclusione indagini lo scorso 7 maggio, e che vede indagate 18 persone (tra le quali Nicola Adamo, Mario Oliverio e Mario Occhiuto) – accusate a vario titolo di associazione a delinquere finalizzata alla commissione di reati contro la pubblica amministrazione, corruzione aggravata, turbata libertà degli incanti, traffico di influenze illecite, frode in pubbliche forniture, abuso in atti di ufficio – va a scandagliare l’appalto di alcune tra le più discusse opere calabresi: il collegamento metropolitano Cosenza-Rende-Unical; la realizzazione del nuovo ospedale di Cosenza; la realizzazione del museo di Alarico. Qui il non-finito rischia di partire addirittura prima dell’avvio dei lavori. L’inchiesta nasce dalla Procura di Napoli che capta intercettazioni di rilievo investigativo durante le Regionali calabresi del 23 novembre 2014. Napoli manda gli atti a Catanzaro che dà inizio alle indagini.
LA SCHIETTEZZA DI GRATTERI Ora, su tutto questo si staglia un dato oggettivo: Nicola Gratteri si è insediato a Catanzaro il 16 maggio 2016. E ne ha dato prova già in quella data: non avrebbe lasciato incompiute e non-finiti lungo il proprio cammino. Paolo Pollichieni lo aveva scritto su questa testata il 5 maggio 2016: «Neanche Gratteri, e lui ama ripeterlo, ha la “bacchetta magica”, tuttavia è dotato di forte fede nello Stato democratico, di grande capacità lavorativa e di una non secondaria caparbietà. E sa essere umile. Una umiltà che si trasforma in coinvolgimento totale per quanti lavorano con lui. Avrebbe anche un’atra “dote”: la schiettezza. A queste latitudini però tale dote, spesso, rischia di diventare un handicap». E ancora: «Una sfida da far tremare i polsi quella che attende Gratteri, accompagnata dall’ansia di giustizia che da più parti si leva davanti all’ipocrisia di una classe dirigente che predica legalità e pratica corruzione, etica prima ancora che economica e politica». Quell’ansia di giustizia si è trasformata in lunghe attese, quasi ogni settimana, davanti all’ufficio del procuratore, una persona, o gruppi di persone, ricevute per 10 minuti ciascuno, dalle 14 alle 20. È questo l’iter che racconta chi conosce bene i corridoi della Procura di Catanzaro. Se c’è “arrosto” nei racconti e nelle denunce, Gratteri affida le persone ai propri magistrati e ai propri investigatori. Così in inchieste come “Malapianta” – che ha portato due settimane fa all’arresto di 34 persone considerate legate alla cosca Mannolo-Trapasso-Zoffeo di San Leonardo di Cutro – troviamo le denunce di imprenditori vessati per anni, com’è il caso del gestore del villaggio Porto Kaleo il quale, dopo molte reticenze, tra il 2018 e il 2019 ha raccontato «con lucidità» anni di estorsioni e soprusi. «Imprenditori turistici che gestiscono grandi strutture ricettive hanno denunciato – ha detto Gratteri nel corso della conferenza stampa –, si sono rivolti alla Guardia di finanza di Crotone e alla Procura di Catanzaro, questo è un grande evento per noi, un dato che ci inorgoglisce, è la nostra benzina, la cartina al tornasole della credibilità del nostro lavoro».
E il Terzo e il Quarto Stato (volendo usare un’espressione tipica dell’ancien regime), stando anche all’effimero dato dei commenti che la gente lascia su Facebook, alle lunghe file davanti alla sua porta, ai recenti commenti di comitati e associazioni, sono con Gratteri.
Altre inchieste, poi, erano rimaste chiuse in un cassetto per anni. Gratteri le ha tirate fuori, le ha affidate a giovani magistrati, le ha trascinate fuori dalle nebbie.
Dopo anni di richieste sono arrivati a Catanzaro nuovi magistrati, è aumentato l’organico, si attende l’avvio dei lavori per la nuova Procura, si stanno informatizzando gli uffici.
TENSIONI È vero, dunque che la schiettezza potrebbe causare problemi al procuratore? Certo non è da trascurare il dato politico: la macchina elettorale per le prossime Regionali è già partita e la tensione si taglia a fette nelle segreterie politiche. Al punto che si interpretano le parole e pure i silenzi. In pochi si spingono al di là della generica «fiducia nei confronti della magistratura». I potentati si marcano stretto e non si espongono.
A modo loro, lo raccontano anche gli uomini della locale di San Leonardo di Cutro intercettati nelle indagini di “Malapianta”: «Allora, allora, mo se questo tocca altri politici, di qua, della zona e allora lì tutti mo se lo giocano, mo se lo cacciano. hai capito? (…) Ma (a casa sua) lo avevano promosso apposta per cacciarlo dai c… oni». (a.truzzolillo@corrierecal.it)

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